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Il cambiamento è possibile

// Sarah Trevisiol //
Sessismo e violenza di genere è responsabilità degli uomini
© Nik Shuliahin / Unsplash
La Caritas di Bolzano-Bressanone offre ormai da vent’anni un consultorio maschile diretto a uomini di qualsiasi età o contesto culturale. All’interno di colloqui psicologici gli utenti possono confrontarsi con un terapeuta sulle proprie difficoltà con la propria identità maschile, le relazioni di coppia, l’essere padre, la propria sessualità, le crisi di vita e anche la propria inclinazione alla violenza. Guido Osthoff, responsabile del servizio, ricorda come l’idea sia arrivata da un gruppo informale che, nel 2001, ha chiesto alla Caritas di fungere da organizzazione di supporto, facendo sì che proprio a Bolzano nascesse il primo sportello di consulenza prettamente maschile d’Italia.

I diversi professionisti che fanno parte del consultorio maschile offrono consulenza psicologica, che solitamente prevede dai 5 ai 10 incontri individuali, nonostante non vi siano limiti temporali, dato che dipende dal rapporto di fiducia che si instaura tra utente e terapeuta. “Chiedere aiuto non è un atto di debolezza, anzi all’opposto è un atto di grande forza e responsabilità, perché tutti abbiamo bisogno di sostegno di tanto in tanto. Purtroppo, molti uomini non sanno gestire rabbia, tristezza, insicurezze e debolezze oppure pensano di avere il diritto di esprimere emozioni a proprio piacimento, senza tener conto degli effetti che ciò ha sulla loro famiglia e sulle persone a loro vicine. Aumentare la capacità di empatia è quindi una parte fondamentale, per far sì che gli uomini capiscano l’impatto delle proprie azioni sulle altre persone, ma anche per riuscire ad entrare in contatto con sé stessi, con la propria vita interiore ed emozionale.”

Ormai da 10 anni, oltre alla consulenza psicologica viene offerto, in collaborazione con i Centri Antiviolenza di tutto l’Alto Adige, anche un training antiviolenza che viene sostenuto dalla Ripartizione delle Politiche sociali della Provincia di Bolzano. La maggior parte dei fruitori del servizio hanno già alle spalle atti di violenza concreti, che hanno spinto un tribunale o un servizio sociale a intervenire. Tali aggressioni hanno portato a grandi capovolgimenti come l’abbandono della compagna, la perdita della custodia delle/dei figli* o crisi lavorative. Dal 2019 esiste una nuova normativa che concede degli sconti di pena e di carcere agli uomini che partecipano a questi training antiviolenza. Le Case delle Donne sottolineano che tali concessioni possono essere pericolose, perché potrebbero mettere a rischio la vita delle donne o delle/dei figli*. Ecco perché è tanto importante monitorare costantemente i partecipanti durante tutto il training, per tenere al centro dell’attenzione la tutela delle donne e dei minori, per assicurarsi che non continuino le violenze o non si trasformino in forme di violenza psicologica ugualmente dannose. Dei questionari rivolti sia agli aggressori, che alle ex-partner o madri che hanno subito violenza, vogliono aiutare a dare un quadro più accurato di ogni singola situazione.
Guido Osthoff evidenzia che “non è mai tardi per fare dei cambiamenti nella propria vita. Purtroppo, però sono ancora pochi gli uomini che si rivolgono al servizio in modo spontaneo, la maggior parte di loro viene costretto da un tribunale. Forzare una persona a intraprendere un percorso psico-educativo serve, se la persona stessa durante il percorso accetta di aver sbagliato e dopo la presa di coscienza si impegna fortemente per un cambiamento.”

Quando si parla di violenza si allude sia alle forme di violenza fisica come pestaggi o omicidi, che alle forme di violenza psichica come minacce, pressioni, offese, urla, persecuzioni, forme di controllo o di dipendenza economica, così come alle forme di violenza assistita subita dalle/dai figli*. Difatti le/i bambin* spesso imitano modi malsani di elaborare le proprie emozioni, esattamente come apprendono nel contesto familiare la maniera di vivere i rapporti di coppia. “Se come uomini offendiamo la nostra partner, pensando che tanto nostra figlia sta nell’altra stanza, scappiamo dal problema, perché la bambina a sua volta si spaventa, vuole difendere la madre, non sa come aiutarla, si sente impotente o minacciata. Molti fra coloro che sono violenti, hanno già assistito ad esempi di violenza in famiglia, ma dobbiamo stare attenti a dare solo la colpa a cause esterne, altrimenti si crea una reazione a catena interminabile. È essenziale spezzare il circolo, evolversi, lasciarsi alle spalle modelli maschili tossici. Bisogna imparare a prendersi le proprie responsabilità e cambiare per davvero.”

L’impegno della Caritas sta nel far capire che il modello maschile tossico – quello del cowboy Lucky Luke per intenderci, che sconfigge ogni avversità da solo, non dimostra sconforto né emozioni, non chiede mai aiuto né permesso – non è realistico, proprio perché abbiamo tutt* bisogno del supporto altrui. “Meno male che oggi abbiamo modelli maschili alternativi a cui ispirarci. Per poterli mettere in atto però bisogna capire l’importanza dell’uguaglianza fra i generi, bisogna saper rinunciare in parte ai propri privilegi, per esempio nella suddivisone dei lavori di casa e cura delle/dei figli*. Bisogna inoltre attuare dei cambiamenti strutturali nella società, visto che la violenza di genere riguarda l’intera società patriarcale in cui viviamo. Abbiamo bisogno di modelli più equilibrati fra responsabilità genitoriali, come già fanno nei paesi nordici, dove tali sistemi funzionano a beneficio di tutt*. Dobbiamo impegnarci a raggiungere maggiore ugualità di salario, perché se solo gli uomini guadagnano gran parte dell’introito familiare, essi saranno meno disposti a occuparsi della prole visto che il salario delle donne non permette la sopravvivenza. Stessa cosa vale per i lavori sociali e di cura, ancora svalutati e spesso sottopagati. Se i salari di chi lavora nella settore terapeutico o sociale aumentassero, molti più uomini sarebbero disposti a farli e molte più donne sarebbero retribuite più adeguatamente. Sarebbe inoltre necessario avere più modelli maschili nella scuola materna, affinché le/i bambin* imparino che non è solo compito femminile quello di educare bambin* e giovan*, ma piuttosto responsabilità condivisa fra i generi.”

Oltre alla consulenza psicologica individuale e al training antiviolenza, alcuni uomini hanno la possibilità di far parte di gruppi di dialogo maschili protetti, in cui potersi scambiare e sostenere a vicenda nel difficile processo di responsabilizzazione. Sicuramente il costante rapporto anche fra i distretti sociali e le reti di espert* è essenziale per implementare le buone pratiche. In quest’ottica la “Caritas Consulenza uomini” è entrata a far parte da un anno della rete nazionale RELIVE (Relazioni libere dalle violenze) che lavora proprio con gli aggressori. “Noi offriamo servizi di consulenza e terapia maschile da anni, però è importante che tali servizi diventino più conosciuti e frequentati dagli uomini. Non è possibile che circa 600 donne all’anno si rivolgono ai Centri Antiviolenza altoatesini e che noi annualmente nel training antiviolenza abbiamo solo una 40ina interessati all’anno. Non tornano i conti, quindi cerchiamo di prendere atto delle nostre responsabilità, perché è responsabilità di noi uomini diminuire la violenza di genere in tutte le sue sfaccettature.”
Guido Osthoff, responsabile della consulenza per uomini della Caritas © Caritas

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Ein langer Weg

// Sabina Drescher //
Für Landesrätin Waltraud Deeg stellte der Entwurf des neuen Landesgesetzes gegen Gewalt an Frauen einen Erfolg dar. Die Frauenhäuser warnten hingegen: Manche der Maßnahmen seien mitunter lebensgefährlich. Am Ende gab es einen Kompromiss.
Landesrätin Deeg am 31. August bei der Vorstellung der Details des neuen Landesgesetzes © LPA/Fabio Brucculeri
Es war Ende August, als die Landesregierung auf Vorschlag von Soziallandesrätin Waltraud Deeg den Entwurf zu einem neuen Landesgesetz guthieß. Konkret geht es darin um „Maßnahmen zur Prävention und Bekämpfung geschlechtsspezifischer Gewalt gegen Frauen und ihre Kinder“. Einige Wochen später meldeten sich jene zu Wort, die seit Jahrzehnten gegen geschlechterspezifische Gewalt kämpfen, nämlich die Frauenhäuser. In einem offenen Brief beschrieben sie, warum sie die Einführung für gefährlich halten. Die bisherigen Versuche, diesen Standpunkt der Politik zu vermitteln, waren fehlgeschlagen. Dabei hatte es so gut begonnen.
Was bisher geschah
Noch bis Ende des vergangenen Jahres waren Expertinnen der Frauenhausdienste an der Ausarbeitung des Gesetzesentwurfs beteiligt gewesen. Erst nach dem Ende dieser Zusammenarbeit wurden Änderungen vorgenommen, die die Expertinnen „für absolut unangemessen, ja sogar gefährlich halten“, wie es im offenen Brief heißt. Sie entsprächen nicht den internationalen Leitlinien für Interventionen zugunsten von Frauen und ihren Kindern, die geschlechterspezifische Gewalt durch einen Mann erfahren.
Diese Bedenken brachten die Vertreterinnen der Südtiroler Frauenhäuser erstmals im Frühling in einem Brief an die Landesrätin zum Ausdruck. Nach einem Monat erfolgte die schriftliche Antwort, die zwar höflich, jedoch inhaltslos gewesen sei, wie im offenen Brief vom September weiter ausgeführt wird.
Ebendiese offene Kritik, die zu Beginn des Herbstes an die Medien verschickt wurde, führte dazu, dass es erneut zu einer Annäherung kam, wenn man es denn so nennen möchte. Die Vertreterinnen der Frauenhäuser wurden auf Antrag der grünen Fraktion eingeladen, ihre Position im zuständigen IV. Gesetzgebungsausschuss darzulegen. Der Termin dafür wurde für den 25. Oktober angesetzt. Dabei warnten die Frauenhausvertreterinnen eindringlich vor einigen Passagen des Gesetzestextes. Die Vertretungen der Bezirksgemeinschaften und auch die zugeschaltete Monika Hauser von medica mondiale schlossen sich den Zweifeln an.
Die konkrete Kritik
Die Expertinnen haben somit erreicht, was sie mit dem offenen Brief beabsichtigt hatten: Aufmerksamkeit für ihre Kritik. Diese bezieht sich konkret auf zwei Artikel des Gesetzesentwurfs, nämlich auf die Artikel 7 und 8. Ersterer trägt den Titel „Territoriale Anlaufstelle“. Die Vertreterinnen der Frauenhäuser schreiben, sie seien der Meinung, „dass es für das Leben der Frauen höchst riskant ist, sich an eine Anlaufstelle zu wenden, die diese Grundsätze nicht garantieren kann und die nichts zu der Informationsfunktion beiträgt, die bereits von den Sozialdiensten der Bezirksgemeinschaften, von den Ordnungskräften und von den Gesundheitsdiensten durchgeführt werden sollte.“
Artikel 8 hingegen bezieht sich auf ein „Territoriales Anti-Gewalt-Netzwerk“. Dazu heißt es im offenen Brief: „Wir betonen, dass die Istanbul-Konvention (2013 von Italien ratifiziert und oft auch hierzulande diskutiert) die Kontaktstellen gegen Gewalt als Koordinations- und Referenzstellen ausweist, nicht nur in der fallbezogenen Intervention, sondern auch in Hinblick auf die Prävention und Zusammenarbeit, d.h. die Vernetzung der Dienste. Insofern ist der Vorschlag der Koordinierung der territorialen Netzwerke durch die Kontaktperson der territorialen Anlaufstelle, wie in Artikel 8 vorgesehen, völlig unangemessen.“
Anita Rossi schrieb dazu in einem Gastbeitrag auf dem Nachrichtenportal salto.bz „im Namen einer falsch verstandenen Niederschwelligkeit [sollen] Frauenhäuser und ihre Dienste ausgehöhlt werden, möchte die Landespolitik (mit welchen Fachkompetenzen?) die Arbeit der Expertinnen koordinieren […]“. Und Rossi fragt weiter: „Bitte erkläre mir eine*r, was daran niederschwellig sein soll, wenn eine Betroffene in ihrem Dorf – wo, wie wir wissen, nichts verborgen bleibt (Ist Südtirol als Ganzes nicht schon Dorf genug?) – ins Rathaus, zum Bürger*innen-Schalter oder sonst wohin schleichen muss, um einer*einem Schalterbeamten mitzuteilen, dass sie Gewalt erfährt und sich dort Erstberatung zu holen?“
Sigrid Pisanu vom Frauenhaus Meran ist es wichtig zu betonen, dass der Gesetzesentwurf nun nicht komplett zerlegt werden soll. „Wir wollen bloß nicht“, sagt sie, „dass der Fokus bei einem so wichtigen Punkt wie dem Kontakt zu den Frauen verloren geht. Wenn wir warnen, dass das gefährlich ist, übertreiben wir nicht.“
Die Position der Landesrätin
Die Landesrätin reagiert mit Bedauern auf die erneute Kritik. Die Arbeit der Frauenhäuser werde hochgeschätzt, ihre Kompetenz solle keineswegs untergraben werden. Deeg spricht von “einem Missverständnis”, man wolle mit dem Gesetz nichts wegnehmen, sondern Dienste ergänzen. Im Akutfall würden von Gewalt betroffene Frauen weiterhin in den spezialisierten Einrichtungen betreut.
In der Entstehung des Gesetzes sei stets die Sicht der Frauen vorangestellt worden. Zudem habe man Best-Practice-Modelle anderer Länder berücksichtigt. „Wir brauchen“, erklärt Deeg, „klare Bezugspunkte und ein einheitliches Anlaufkonzept.“ Die verschiedenen Notfallnummern sollen deshalb in einer einzelnen zusammengeschlossen werden.
Wie geht es weiter?
Die Hoffnung, dass die kritisierten Artikel abgeändert oder gestrichen werden, war bei Pisanu zunächst gering. „Wir geben dennoch weiterhin und bis zum Ende unser Bestes.“ Tatsächlich kam es nach der Anhörung zu einem Teilerfolg für die Frauenhäuser. Landesrätin Deeg ließ den Passus zur Einrichtung der territorialen Anlaufstellen ändern. Nun ist nur noch von einer Bezugsperson auf Bezirksebene die Rede, die das territoriale Anti-Gewalt-Netzwerk koordiniere. Der Entwurf wurde daraufhin – und nach eingehender Debatte – einstimmig gebilligt.
„Gewalt ist nie nur Privatsache, sondern hat immer auch gesellschaftliche Auswirkungen“, erklärte Ausschussvorsitzende Jasmin Ladurner. „Wir haben heute mit diesem Gesetzentwurf einen Meilenstein für die Zukunft im Interesse der Frauen gesetzt.“ Auch die Landtagsabgeordnete der Grünen, Brigitte Foppa, die Änderungsanträge eingebracht hatte, zeigte sich über den Ausgang zufrieden: „Das ist ein wichtiges Ergebnis. Das Gesetz setzt in dieser Form einen wichtigen Schritt für die Eingrenzung der Gewalt an Frauen in unserem Land.“
Über das Gesetz soll noch im November im Landtag abgestimmt werden.