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Le microagressioni razziste sono come mille piccole punture di zanzare

// Sarah Trevisiol //
Audrey vive in Alto Adige da più di trent’anni, ha cresciuto qui quattro figli/e, lavora come insegnante d’inglese presso diverse scuole e ha messo in piede il “Café interculturale” assieme all’Urania di Merano. Oltre alla sua lingua madre, l’inglese, parla un poco d’italiano, un buon tedesco e il dialetto altoatesino. Nonostante ciò non si sente ancora del tutto parte della società locale, poiché il colore della sua pelle sembra renderla “diversa” agli occhi altrui. “Vedo come mi guarda certa gente, percepisco la loro diffidenza. A Londra non mi sono mai sentita tanto diversa, il colore della mia pelle non aveva lo stesso peso. Qui invece c'è stato persino chi mi ha insultata pubblicamente, accusandomi di essere pigra o di voler rubare lavoro, per il solo fatto che ho la pelle più scura della loro. La cosa che mi rattrista è che questa gente non si prende nemmeno la briga di conoscermi, ma si sofferma solo su pregiudizi e generalizzazioni. Meno male che non tutte le persone sono così. Poi bisogna dirlo, io sono fortunata, perché sono una straniera privilegiata: ho studiato, lavoro e non ho avuto viaggi traumatici. Inoltre parlo il dialetto sudtirolese e quindi le persone sono più accomodanti nei miei confronti.”
Audrey è nata in Kenya, ma ha vissuto la sua infanzia e giovinezza a Londra, dove ha terminato anche gli studi in psicologia. Dopo la laurea ha incontrato il futuro marito, decidendo di trasferirsi insieme a lui nella sua terra natale: l’Alto Adige. Oggi, trent’anni dopo, non le è ancora stato riconosciuto il suo titolo di studio e il suo permesso di soggiorno dipende dai/dalle figli/e sudtirolesi per nascita, non perché lei vive qui da tre decenni. “Succede spesso che la gente non mi vede come una persona adulta o capace. Mi prendono per una donna indiana indifesa, senza nemmeno chiedersi chi sono o cosa so fare. È snervante sentirsi spinta dentro una categoria stereotipata, senza avere la possibilità di raccontarsi.”
“Microaggressioni” è il termine usato per definire le umiliazioni e offese che alcune persone subiscono giornalmente: People of Colour come Audrey, ma anche persone di altre minoranze, come per esempio persone omosessuali o transgender. Il termine è stato coniato all'inizio degli anni '70 da Chester Pierce, uno psichiatra afroamericano dell’Università di Harvard, che ogni giorno si ritrovava uno studente di carnagione bianca, che, a fine lezione, cercava di rimproverargli che cosa avrebbe potuto fare meglio. Pierce si sentì trattato con condiscendenza poiché afroamericano, Person of Colour. In conformità a queste esperienze ha coniato il termine “microaggressioni” per indicare tutte quelle espressioni quotidiane offensive e che hanno delle conseguenze tangibili sul corpo e sulla psiche di chi le subisce. Può trattarsi di comportamenti intenzionali o involontari, ma anche di espressioni verbali.
Come fa notare Audrey “Il mondo non è semplicemente suddiviso in bianco e nero. Io stessa ho riferimenti culturali diversi, non ho una sola Heimat. Capisco che a volte sarebbe più facile poter suddividere le persone entro categorie nette, ma la vita è più complessa e si rischia di perderne le sfumature. Poi, detta tra di noi, non ho mai capito come fanno i sudtirolesi a pretendere da chi viene da fuori di integrarsi, quando nemmeno tra di loro s’intendono. A mio avviso è essenziale porre l’accento sul fatto che integrazione non significa assimilazione, perdita della propria identità, ma piuttosto arricchimento di nuove abitudini, saperi e stili di vita.”
Le cose stanno cambiando, a detta di Audrey, che tra i banchi di scuola ormai vede sempre più ragazzi/e che appaiono abituati fin dalla tenera età a mischiarsi con persone che hanno differenti riferimenti culturali. “Le mie figlie e mio figlio si sentono altoatesini al 100%, hanno il loro gruppo di amici e si sentono parte integrante della società. Mi auguro che in futuro sempre più persone s’incuriosiscano e non si spaventino della diversità, che vedano la persona, prima di qualsiasi colore della pelle.”

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Girls just wanna have fun(damental rights)

// Kathinka Enderle //
Stell Dir vor, Du lebst in Ohio, USA. Deine 10-jährige Schwester, Tochter, Nichte, Enkelin, ist ein glücklicher Sonnenschein und genießt ihre Kindheit. Als sie zweifach vergewaltigt wird, ist von diesem Glück nichts mehr übrig. Stattdessen wächst ein Fötus in diesem kleinen Mädchen heran. Was machst Du als Schwester, Mutter, Tante oder Oma? Und vor allem: Wie stehst Du zur Schwangerschaft?
© Eric Ward / Unsplash
Wenn eine horrende Vorstellung zur Realität wird
Was einem als Vorstellung bereits den Magen umdreht, wurde in Ohio zur bitteren Realität. Als ein Mädchen mit zehn Jahren durch eine zweifache Vergewaltigung schwanger wird und diese Schwangerschaft abbrechen möchte, wurde ihr dies Ende Juni 2022 in Ohio verweigert.
Grund dafür ist die am 24. Juni 2022 aufgehobene Grundsatzentscheidung „Roe vs. Wade“ des Obersten Gerichtshofes der USA aus dem Jahre 1973. Das Gesetz hielt fest, dass Frauen selbst über einen Schwangerschaftsabbruch entscheiden durften, wobei es je nach Trimester unterschiedliche Regelungen gab. Während das Recht auf Abtreibungen eigentlich gesichert war, erlitt es 2022 einen immensen Rückschlag. Nun können Bundesstaaten in Amerika frei entscheiden, ob sie Abtreibungen oder Verhütungsmethoden zulassen oder verbieten möchten.
Karten auf den Tisch
In manchen Staaten Amerikas wird weder zwischen einer ungewollten Schwangerschaft trotz Verhütung, einer Vergewaltigung oder einer Lebensgefahr unterschieden, ihr Gesetz bleibt gleich: Eine Abtreibung ist illegal und wird hart bestraft. Unhygienische Abtreibungen steigen, genauso wie die Hospitalisierung von Frauen mit missglückten Abbrüchen. Vergewaltigte Frauen müssen die Kinder ihrer Vergewaltiger austragen. Kranke Frauen sterben während der Schwangerschaft. Frauen ohne finanzielle, familiäre oder gesundheitliche Stabilität sind gezwungen, schwanger zu bleiben. Und auch Kinder werden Kinder bekommen. Die Fragen, wie sich dies auf die Psyche auswirkt, wenn man einen Fötus austragen soll, den man nicht wollte, und wie viele Suizide darauf folgen werden, bleiben ignoriert.
Europa – Friede, Freude, Eierkuchen?
Während man annehmen würde, dass Europas Staaten fortschrittlich denken, zeigen auch hier manche Länder das Gegenteil. Abtreibungen in Polen sind streng geregelt, in Malta sind sie unter allen Umständen illegal. Das Einzige, das damit aber gestoppt wird, sind sichere Abtreibungen. Frauen besitzen zwar weiterhin durch unsichere Abbrüche die Kontrolle über ihren Körper – doch zu welchem Preis?
My Body, my choice
Laut riefen über 1000 Jugendliche sowie Erwachsene vor dem Supreme Court in Washington „My Body, my choice!“. Weltweit fanden sich unterschiedliche Generationen zusammen, um gegen die Entscheidung des Obersten Gerichtshofes zu protestieren, wobei die Wut deutlich zu spüren war. Und auch online war der Tatendrang groß. Mehrere User*innen veröffentlichten sogar private Informationen über vier Richter*innen des Supreme Courts und wollten damit zeigen, dass sie sich mit der falschen Generation angelegt haben.
Was wir zu sagen haben