Vorworte

Donatella Califano, Vicepresidente

Nelle sue diverse forme, l’amore accompagna la vita di tutti noi. Che si tratti di amore romantico, di amore genitoriale, di legami affettivi o di amicizia, di amore inteso come passione o interesse verso alcuni temi o attività, nelle diverse sue sfaccettature o declinazioni, l’amore guida le nostre azioni. Ma ogni concetto di amore e ogni modello comportamentale, atteso in nome dell’amore, è socialmente definito e codificato dalla cultura di appartenenza.
Nella nostra società l’interpretazione culturale, che vede la donna come colei che sa (o deve) amare incondizionatamente e accudire, che è capace di custodire, di curare e proteggere l’amore e che sa perdonare, fa parte di un’aspettativa di genere stereotipata ancora molto presente. E che si declina al meglio nella figura della madre e moglie/compagna perfetta.
Il nostro compito è sfidare e superare gli stereotipi, sensibilizzare le donne e la società verso la proporzione e lo sviluppo dell’amor fondamentale per sottrarsi proprio a queste aspettative e imposizioni sociali, per uscire da modelli comportamentali imposti e per affermare la propria libertà. Le donne devono poter essere libere in primo luogo di amare e di affermare sé stesse.

Landesbeirat für Chancengleichheit

Wie sprechen übers Unaussprechliche?

// Maria Pichler //
Medien und ihre Berichte können zur Prävention und zum Schutz vor Gewalt beitragen. Wie, darüber hat die ëres im Vorfeld der Fachtagung „Gewalt an Frauen und Mediensprache“ mit den beiden Referentinnen Birgit Wolf* und Sandra Bortolin** gesprochen.
Welche Verantwortung tragen Medien mit ihrer Berichterstattung über Gewalt an Frauen?
In der EU ist die Berichterstattung der Medien die wichtigste Informationsquelle zum Thema Gewalt an Frauen*, insbesondere das Fernsehen. Medien können daher einen wesentlichen Beitrag zur Verhinderung von Gewalt im Vorfeld leisten. Was und wie berichtet wird, trägt zum Verstehen von männlicher Beziehungsgewalt an Frauen sowie der Mitbetroffenheit von Kindern bei. Aber nicht nur die Information, auch das Thematisieren und kritische Hinterfragen hilft, Gewalt an Frauen* als gesellschaftliches Thema im Fokus zu halten und ein Klima zu schaffen, in dem diese Gewalt nicht toleriert wird.
Wie berichten Medien über Fälle von Gewalt und welche Fehler machen sie dabei?
Studien zeigen, wie die Presse im Vergleich zur Kriminalstatistik eine verzerrte Realität schafft, indem hauptsächlich über schwere Gewalt wie Mord und Vergewaltigung berichtet wird. Die „alltägliche“ geschlechtsbezogene Gewalt an Frauen* kommt dagegen nur selten vor. Problematisch ist die Berichterstattung in Zusammenhang mit sozialen Randgruppen und Migration. Bestimmte Opfergruppen wie ältere Frauen, Frauen mit Handicap, Frauen* mit nicht heteronormativer Geschlechtsidentität und LGBTIQ+-Personen sowie Kinder und Jugendliche als Betroffene oder Zeug*innen von häuslicher Gewalt bleiben oft unsichtbar. Vielfach wird die Perspektive des Täters wiedergegeben, stereotyp und patriarchal – wobei sich hierbei Qualitätsmedien stark von Boulevardblättern unterscheiden.
Wie geht es verantwortungsvoll(er)?
Mehr Berichte über die Formen von Gewalt und deren Warnsignale können helfen, Gewaltbeziehungen zu erkennen. Hintergrundinformationen über die Dynamiken und Muster in solchen Beziehungen wirken einem Victim-Blaming und der Täter-Opfer-Schuldumkehr entgegen. Der Einbezug von Männern, die Verdeutlichung der politischen Verantwortung und der Rolle des sozialen Umfeldes machen die gesellschaftliche Dimension der Gewalt an Frauen* sichtbar, denn der Schutz vor Gewalt geht uns alle an.
*Birgit Wolf
ist Krisen- und Traumaberaterin bei Frauenhelpline – Verein Autonome Österreichische Frauenhäuser, unabhängige Gender- und Anti-Gewalt-Forscherin und Redakteurin und Autorin des AÖF Leitfadens Verantwortungsvolle Berichterstattung
Quali sono i significanti pregiudizi e stereotipi che esprimono un mancato rispetto da parte dei media per le vittime di violenza?
Per capire pregiudizi e stereotipi nei riguardi delle donne occorre partire dal linguaggio. La lingua italiana prevede la declinazione al femminile di tutte le parole al maschile eppure, per resistenze culturali e politiche, non sempre si applica il genere femminile privilegiando il maschile. Una parte della nostra cultura ancora oggi ignora la soggettività femminile. Chi non si nomina non ha valore e di conseguenza prevale su di essa la volontà maschile che porta ad un malsano possesso. In Italia muore in media per femminicidio una donna ogni 3 giorni. Sui media troviamo a volte inaccettabili giustificazioni per l’autore di questi gesti violenti: “Due femminicidi e un figlicidio. Strage per troppo amore” oppure la donna viene uccisa ma l’assassino viene descritto come “un gigante buono”, “un buon padre di famiglia”, “lei voleva lasciarlo”, “lei lo aveva provocato”. Anni di maltrattamenti troppo spesso vengono derubricati sui giornali e dalle forze di polizia come banale “lite familiare”. Nel racconto mediatico l’autore del crimine è spesso meno rilevante. Non viene messa a fuoco e non si denuncia, ad esempio, quella vittimizzazione secondaria delle donne che avviene nelle aule giudiziarie dove spesso viene invertita la responsabilità tra carnefice ed vittima (“ se l’è cercata lei… aveva bevuto troppo….era seminuda…lo aveva tradito”). Anche per questo 9 donne su 10 non denunciano le violenze.
Come si potrebbe raccontare di femminicidi e viol­enza con responsabilità e con un linguaggio corretto?
Innanzitutto i media devono utilizzare un linguaggio che segnali rispetto e presenza delle donne nella società. Giornaliste e giornalisti hanno oggi tutti gli strumenti di riflessione e di lavoro per inquadrare correttamente il racconto della violenza sulle donne. Moltissimi corsi di formazione anche online sono fatti dall’Ordine regionale e nazionale dei giornalisti e dall’associazione Giulia per sensibilizzare colleghe e colleghi a non ridurre i femminicidi a puro fatto di cronaca. Il faro per tutte/i sono le Raccomandazioni per il linguaggio rispettoso dell’informazione, contenute nel Manifesto di Venezia (2017), firmato anche dall’Ordine regionale, ricordando che l’Italia ha sottoscritto la Convenzione di Istanbul contro ogni forma di violenza anche giornalistica. Una cronaca corretta deve abbandonare lo sbrigativo termine “raptus” per spiegare i femminicidi; gelosia e depressione come facili moventi per giustificare storie drammatiche; non deve cedere al pregiudizio inconscio che le donne siano sempre un pò responsabili della loro morte. Giornaliste/i e debbono essere coscienti che il gesto finale di uccidere una moglie, una ex o altro, arriva spesso dopo un lungo periodo di maltrattamenti e persecuzioni che non vanno sorvolati. Abbiamo il dovere di raccontare il femminicidio come un fenomeno strutturale della nostra società.
Chi sono le giornaliste GIULIA e quali sono i loro obiettivi?
GIULIA (GIornaliste Unite LIbere Autonome) dal 2011 è un’autorevole associazione di giornaliste professioniste e pubbliciste giulia.globalist.it Per farne parte occorre aderire al suo Manifesto democratico ed antifascista. GIULIA Giornaliste è nata perché non volevamo essere complici di un’informazione che, sui media e nei media, non dava il giusto ruolo alle donne e alla questione femminile, usava un linguaggio spesso discriminatorio, sessista e intriso di stereotipi che fornivano una rappresentazione poco dignitosa delle donne. Collaboriamo con associazioni femminili e femministe, con le maggiori università, le CPO, con Ordine e Sindacato dei giornalisti. Abbiamo realizzato decine e decine di corsi formativi, convegni, iniziative territoriali e pubblicazione di libri. Resta costante l’impegno contro il linguaggio d’odio sui social e web, le censure, gli stereotipi femminili nello sport, contro la discriminazione delle donne sia come oggetto di informazione che come soggetto giornalistico nelle redazioni. GIULIA continua anche la sua battaglia contro i panel di soli uomini con partnership nei progetti di valorizzazione delle eccellenze femminili in tutti i settori(es:100esperte.it)
** Sandra Bortolin
giornalista professionista dal 1982 e si è occupata di attualità, cronaca nera e giudiziaria per il quotidiano Alto Adige e al TGR della Rai di Bolzano. È tra le fondatrici e la coordinatrice regionale dell’Associazione Giulia Giornaliste.