Think
Il coraggio di essere sé stessa
// Sarah Trevisiol //
La storia personale della femminista Margareth Gruber, co-fondatrice del consultorio per famiglie Lilith di Merano e una delle prime donne altoatesine ad essersi dichiarata lesbica.
Margareth zur Zeit ihres Coming Outs © Margareth Gruber
“Vivi e lasciare vivere” questo è il motto di Margareth Gruber, che ancora oggi a settant’anni sorprende per la sua interminabile energia e curiosità. Oggi guarda indietro alla sua vita con serenità e orgoglio, nonostante il suo sia stato un percorso tortuoso, fatto di continue sfide e ostacoli. Nata negli anni cinquanta in Val d’Ultimo all’interno di una famiglia molto povera e religiosa, Margareth ha imparato presto a farsi strada da sola, a farsi valere nonostante la sua disfunzione congenita che l’ha fatta nascere con una gamba sola. “All’inizio non è stato per niente facile accettarmi, né farmi accettare in una zona rurale tanto isolata.
Col tempo però ho imparato a trarre forza dalla mia diversità. Ho capito che ho la capacità di rialzarmi, di lottare per sopravvivere e farmi sentire, affinché la gente apprenda a vedermi come persona utile alla società.”
Margareth ha sempre trovato rifugio nel disegno, nella lettura e nella scrittura dei propri diari. Perché è lì che inizialmente poteva essere sé stessa, libera e aperta, in grado di oltrepassare i confini della sua terra. Nonostante sua madre da bambina le abbia consigliato di non leggere troppo, perché non era opportuno per una donna essere troppo acculturata o intelligente, era meglio saper stare in secondo piano e illuminare la strada dell’uomo al proprio fianco. Margareth era convinta di poter pensare e agire alla pari di ogni uomo e perciò si rifiutò di seguire il ruolo assegnatole, così come di idealizzare l’uomo come autorità indiscussa. La sua vita difatti è stata segnata anche da un altro fatto terribile vissuto in tenera età, una molestia sessuale perpetuata nel tempo per mano di un vicino di casa. “La cosa che ricordo con dolore è la vergogna che provavo. Mia madre non mi aveva mai spiegato come andavano le cose, anzi, mi disse che se anche solo pensavo di toccare o menzionare il mio organo sessuale, sarei finita dritta all’inferno. Certo, lei era una donna dei suoi tempi e non aveva imparato di meglio, però è stata particolarmente dura, sentirmi in colpa per qualcosa che non avevo fatto ne voluto io.”
Margareth non si è mai arresa e così col tempo, oltre alla passione per la lettura, ha trovato l’amore, l’amore per una donna, che come lei cercava affetto e sostegno. Per la prima volta si sentiva appoggiata, capita, libera di amare ed essere amata per quello che è. Purtroppo la storia non durò a lungo, perché la compagna morì di anoressia, un’altra delle tante realtà femminili all’epoca ancora poco riconosciute e trattate. La morte dell’amata la spinse a non voler più tacere, a voler vivere apertamente la sua forma di amore. “Me lo ricordo come se fosse ieri, capii di poter amare solamente una donna e che non me ne dovevo vergognare. Da bambina non ho avuto le forze di contrastare la molestia sessuale subita, però da giovane donna ho scelto di non subire altre violenze o discriminazioni, di venire alla luce con tutta me stessa.” Così Margareth, all’età di 25 anni, decise di confessare la sua omosessualità dapprima a sua madre e alla famiglia, poi agli amici. Non era per niente facile fare "coming out" negli anni 70, soprattutto per chi come Margareth è cresciuta in un'ambiente molto cattolico. Lei però si fece coraggio e ne parlò pubblicamente ad eventi, nelle radio e in TV, capì che dichiararsi pubblicamente poteva incentivare anche altre donne a farsi avanti, a sentirsi libere di essere quelle che vogliono. Gli anni ottanta furono per Margareth anche l’inizio di una storia di amore con una donna, vissuta alla luce del sole per ben 33 anni.
Nel 1982 Margareth e alcune compagne fondarono l’associazione “Donne Merano/Frauen Meran” divenuta poi il consultorio familiare Lilith. Oggi l’associazione, dopo quasi 40 anni, è ancora fortemente attiva nel sostengo di famiglie e donne in difficoltà, impegnandosi contro ogni forma di violenza e disparità fra generi. All’inizio è stato difficile aprire un centro di accoglienza femminile, non vi era appoggio da parte delle istituzioni, le socie per anni dovevano pagare tutto di tasca propria e fare centinaia di ore di volontariato. “È stato l’impegno di poche singole a spianare la strada per una realtà tanto essenziale, avevamo una meta comune e tanta grinta per metterla in pratica. Credo che, almeno per quanto mi riguarda, siano state proprio le difficoltà incontrate nella mia vita a darmi la forza giusta per appoggiare le diverse cause femministe.” Fin dagli anni 70 difatti Margareth Gruber, come tante altre donne altoatesine e italiane, ha combattuto con vigore e tenacia per il riconoscimento di diritti fondamentali come il divorzio e l’aborto, prima di allora impensabili in Italia. Le reti tra le diverse realtà territoriali hanno permesso a queste donne di tener testa all’oppressione e riluttanza da parte della società, facendo sì che anche le donne di oggi possano godere di molti fra questi diritti. “Noi abbiamo lottato duramente per ottenerli, ma purtroppo i diritti non sono mai scontati, vige sempre il rischio di perderli nuovamente. Ecco perché è essenziale che le giovani donne continuino a mettercela tutta nel mantenere le libertà acquisite, affinché tutt* possano continuare a scegliere i propri percorsi.”
All’inizio, dopo il suo "coming out", Margareth trovò appoggio e comprensione da parte della società, alla fine della sua carriera come insegnante d’arte invece divenne vittima di bullismo e persecuzione, motivo per il quale decise di lasciare la scuola e di trasferirsi a Brescia, dove alla tenera età di 66 anni ha trovato un nuovo amore.
Margareth continua a scrivere i suoi diari giornalmente, a mantenere viva la memoria e la testimonianza di un impegno personale e collettivo a favore delle donne, delle persone discriminate e di sé stessa. Negli anni, oltre alle questioni femminili, ha incluso in questi scritti anche altre cause, come per esempio quella dei diritti per gli animali o l’impegno per la salvaguardia di madre terra. “Oggi mi vedo più libera che mai, ho trovato un equilibrio interiore che mi fa star bene, con me stessa e con chi mi circonda. Ho capito che tutt* abbiamo un lato maschile e uno femminile e che la vera sfida sta nel trovare un dialogo fra queste parti, senza escluderne o sopprimerne una a favore dell’altra. La stessa cosa vale anche per le diverse forme di femminismo, possono convivere, non devono uniformarsi, perché è proprio la diversità a risaltarne la ricchezza.”
Col tempo però ho imparato a trarre forza dalla mia diversità. Ho capito che ho la capacità di rialzarmi, di lottare per sopravvivere e farmi sentire, affinché la gente apprenda a vedermi come persona utile alla società.”
Margareth ha sempre trovato rifugio nel disegno, nella lettura e nella scrittura dei propri diari. Perché è lì che inizialmente poteva essere sé stessa, libera e aperta, in grado di oltrepassare i confini della sua terra. Nonostante sua madre da bambina le abbia consigliato di non leggere troppo, perché non era opportuno per una donna essere troppo acculturata o intelligente, era meglio saper stare in secondo piano e illuminare la strada dell’uomo al proprio fianco. Margareth era convinta di poter pensare e agire alla pari di ogni uomo e perciò si rifiutò di seguire il ruolo assegnatole, così come di idealizzare l’uomo come autorità indiscussa. La sua vita difatti è stata segnata anche da un altro fatto terribile vissuto in tenera età, una molestia sessuale perpetuata nel tempo per mano di un vicino di casa. “La cosa che ricordo con dolore è la vergogna che provavo. Mia madre non mi aveva mai spiegato come andavano le cose, anzi, mi disse che se anche solo pensavo di toccare o menzionare il mio organo sessuale, sarei finita dritta all’inferno. Certo, lei era una donna dei suoi tempi e non aveva imparato di meglio, però è stata particolarmente dura, sentirmi in colpa per qualcosa che non avevo fatto ne voluto io.”
Margareth non si è mai arresa e così col tempo, oltre alla passione per la lettura, ha trovato l’amore, l’amore per una donna, che come lei cercava affetto e sostegno. Per la prima volta si sentiva appoggiata, capita, libera di amare ed essere amata per quello che è. Purtroppo la storia non durò a lungo, perché la compagna morì di anoressia, un’altra delle tante realtà femminili all’epoca ancora poco riconosciute e trattate. La morte dell’amata la spinse a non voler più tacere, a voler vivere apertamente la sua forma di amore. “Me lo ricordo come se fosse ieri, capii di poter amare solamente una donna e che non me ne dovevo vergognare. Da bambina non ho avuto le forze di contrastare la molestia sessuale subita, però da giovane donna ho scelto di non subire altre violenze o discriminazioni, di venire alla luce con tutta me stessa.” Così Margareth, all’età di 25 anni, decise di confessare la sua omosessualità dapprima a sua madre e alla famiglia, poi agli amici. Non era per niente facile fare "coming out" negli anni 70, soprattutto per chi come Margareth è cresciuta in un'ambiente molto cattolico. Lei però si fece coraggio e ne parlò pubblicamente ad eventi, nelle radio e in TV, capì che dichiararsi pubblicamente poteva incentivare anche altre donne a farsi avanti, a sentirsi libere di essere quelle che vogliono. Gli anni ottanta furono per Margareth anche l’inizio di una storia di amore con una donna, vissuta alla luce del sole per ben 33 anni.
Nel 1982 Margareth e alcune compagne fondarono l’associazione “Donne Merano/Frauen Meran” divenuta poi il consultorio familiare Lilith. Oggi l’associazione, dopo quasi 40 anni, è ancora fortemente attiva nel sostengo di famiglie e donne in difficoltà, impegnandosi contro ogni forma di violenza e disparità fra generi. All’inizio è stato difficile aprire un centro di accoglienza femminile, non vi era appoggio da parte delle istituzioni, le socie per anni dovevano pagare tutto di tasca propria e fare centinaia di ore di volontariato. “È stato l’impegno di poche singole a spianare la strada per una realtà tanto essenziale, avevamo una meta comune e tanta grinta per metterla in pratica. Credo che, almeno per quanto mi riguarda, siano state proprio le difficoltà incontrate nella mia vita a darmi la forza giusta per appoggiare le diverse cause femministe.” Fin dagli anni 70 difatti Margareth Gruber, come tante altre donne altoatesine e italiane, ha combattuto con vigore e tenacia per il riconoscimento di diritti fondamentali come il divorzio e l’aborto, prima di allora impensabili in Italia. Le reti tra le diverse realtà territoriali hanno permesso a queste donne di tener testa all’oppressione e riluttanza da parte della società, facendo sì che anche le donne di oggi possano godere di molti fra questi diritti. “Noi abbiamo lottato duramente per ottenerli, ma purtroppo i diritti non sono mai scontati, vige sempre il rischio di perderli nuovamente. Ecco perché è essenziale che le giovani donne continuino a mettercela tutta nel mantenere le libertà acquisite, affinché tutt* possano continuare a scegliere i propri percorsi.”
All’inizio, dopo il suo "coming out", Margareth trovò appoggio e comprensione da parte della società, alla fine della sua carriera come insegnante d’arte invece divenne vittima di bullismo e persecuzione, motivo per il quale decise di lasciare la scuola e di trasferirsi a Brescia, dove alla tenera età di 66 anni ha trovato un nuovo amore.
Margareth continua a scrivere i suoi diari giornalmente, a mantenere viva la memoria e la testimonianza di un impegno personale e collettivo a favore delle donne, delle persone discriminate e di sé stessa. Negli anni, oltre alle questioni femminili, ha incluso in questi scritti anche altre cause, come per esempio quella dei diritti per gli animali o l’impegno per la salvaguardia di madre terra. “Oggi mi vedo più libera che mai, ho trovato un equilibrio interiore che mi fa star bene, con me stessa e con chi mi circonda. Ho capito che tutt* abbiamo un lato maschile e uno femminile e che la vera sfida sta nel trovare un dialogo fra queste parti, senza escluderne o sopprimerne una a favore dell’altra. La stessa cosa vale anche per le diverse forme di femminismo, possono convivere, non devono uniformarsi, perché è proprio la diversità a risaltarne la ricchezza.”
Margareth als Kleinkind in ihrer Heimat in Ulten © Margareth Gruber
Margareth Gruber heute © Margareth Gruber