Sei servita – Das Bild der Frau in der Werbung
Basta alla pubblicità sessista in Italia
// Sarah Trevisiol //
Hillary Clinton, Margaret Thatcher, Frida Khalo, Rita Levi Montalcini © Art Directors Club Italiano
I modi in cui una pubblicità può essere degradante e sessista sono molti: dall’oggettivazione delle donne, rappresentate perlopiù mezze nude e in pose ammiccanti, fino alla diffusione ripetuta di stereotipi di genere, che riportano schemi culturali arretrati, riduttivi e dannosi. Donne sempre uguali, perfette, snelle, giovani e quasi sempre bianche, dedite solo alla bellezza o alla pulizia della casa e alla cura della famiglia, la cui identità si esaurisce nell’essere “casalinghe” o “sexy” o “madri”.
L’Art Directors Club Italiano (Adci), che da anni si prefigge il compito di lottare contro la volgarità e gli stereotipi di genere, nel 2015 ha premiato una campagna provocatoria e ironica, realizzata da Lara Rodriguez e Giorgio Fresi (Tbwa), che evidenzia come i ruoli di genere convenzionali siano oppressivi, limitanti e dannosi. Fotomontaggi di grandi donne alle prese con piccoli compiti domestici mostrano la neurologa e senatrice Rita Levi Montalcini mentre impasta una torta, l’artista Frida Khalo che fa a maglia, la politica Hillary Clinton che lava i vetri e l’ex prima ministra inglese Margaret Thatcher alle prese con la polvere di casa. Sotto si legge lo slogan: “La pubblicità sessista ha idee chiare sull’occupazione. A quante figure carismatiche, possibili premier, premi Nobel, imprenditrici, artiste, stiamo rinunciando, tarpando loro le ali, senza esserne consapevoli?”.
Lodevole il fatto che la campagna sia stata premiata dall'Art Directors Club Italiano e anche che sia stata lanciata una petizione da poter firmare online. Peccato però che dal 2015 fino ad oggi non siano stati assegnati altri premi a campagne simili contro il sessismo e in generale sembra essere difficile trovare agenzie italiane che si impegnano esplicitamente contro il sessismo. In altri paesi europei vi sono da tempo agenzie pubblicitarie attente a non divulgare messaggi sessisti, a fare prevenzione e corsi di formazione, a consegnare premi e fare monitoraggio. L’Istituto di Autodisciplina Pubblicitaria in Italia può agire contro gli eccessi imponendo un rapido ritiro delle campagne più offensive. Ma tutto ciò non basta, servono maggiori sanzioni, serve un cambio culturale, per restituire finalmente pari dignità alle donne nella pubblicità.
Di fatto l’Europa aveva già chiesto all’Italia nel 2008 di promuovere pubblicità meno sessiste, ma non ci sono stati grandi passi in avanti, visto che tuttora la maggior parte dei media italiani rappresenta le donne come relegate a ruoli solo “decorativi, sessualizzati o casalinghi”. Triste verità se si pensa che, ormai da decenni, le università italiane laureino più studentesse che studenti, con una media di voti più alta. Certo è che, quando la stessa presidente del consiglio pone l’accento ripetutamente sul fatto di essere donna e madre, la strada verso una maggiore parità di genere nei media italiani sembra una strada ancora lunga a percorrere.
L’Art Directors Club Italiano (Adci), che da anni si prefigge il compito di lottare contro la volgarità e gli stereotipi di genere, nel 2015 ha premiato una campagna provocatoria e ironica, realizzata da Lara Rodriguez e Giorgio Fresi (Tbwa), che evidenzia come i ruoli di genere convenzionali siano oppressivi, limitanti e dannosi. Fotomontaggi di grandi donne alle prese con piccoli compiti domestici mostrano la neurologa e senatrice Rita Levi Montalcini mentre impasta una torta, l’artista Frida Khalo che fa a maglia, la politica Hillary Clinton che lava i vetri e l’ex prima ministra inglese Margaret Thatcher alle prese con la polvere di casa. Sotto si legge lo slogan: “La pubblicità sessista ha idee chiare sull’occupazione. A quante figure carismatiche, possibili premier, premi Nobel, imprenditrici, artiste, stiamo rinunciando, tarpando loro le ali, senza esserne consapevoli?”.
Lodevole il fatto che la campagna sia stata premiata dall'Art Directors Club Italiano e anche che sia stata lanciata una petizione da poter firmare online. Peccato però che dal 2015 fino ad oggi non siano stati assegnati altri premi a campagne simili contro il sessismo e in generale sembra essere difficile trovare agenzie italiane che si impegnano esplicitamente contro il sessismo. In altri paesi europei vi sono da tempo agenzie pubblicitarie attente a non divulgare messaggi sessisti, a fare prevenzione e corsi di formazione, a consegnare premi e fare monitoraggio. L’Istituto di Autodisciplina Pubblicitaria in Italia può agire contro gli eccessi imponendo un rapido ritiro delle campagne più offensive. Ma tutto ciò non basta, servono maggiori sanzioni, serve un cambio culturale, per restituire finalmente pari dignità alle donne nella pubblicità.
Di fatto l’Europa aveva già chiesto all’Italia nel 2008 di promuovere pubblicità meno sessiste, ma non ci sono stati grandi passi in avanti, visto che tuttora la maggior parte dei media italiani rappresenta le donne come relegate a ruoli solo “decorativi, sessualizzati o casalinghi”. Triste verità se si pensa che, ormai da decenni, le università italiane laureino più studentesse che studenti, con una media di voti più alta. Certo è che, quando la stessa presidente del consiglio pone l’accento ripetutamente sul fatto di essere donna e madre, la strada verso una maggiore parità di genere nei media italiani sembra una strada ancora lunga a percorrere.