Rubrica
Bilancio di fine estate
// Tilia //
Le aule scolastiche hanno appena riaperto le porte e la domanda che mi faccio ormai da anni alla fine di ogni estate è sempre la stessa: quando le scuole chiudono, per circa tre mesi, ben 12 settimane, se entrambi i genitori lavorano, come si fa... a sopravvivere? Come ci si destreggia tra l’assistenza ai figli, il lavoro e la gestione della casa, garantendo al tempo stesso uno standard educativo e formativo ai bambini, che così come non devono essere parcheggiati a scuola non devono esserlo nemmeno sul divano di casa? Si tratta di un enigma per me ancora irrisolto.
Noi non siamo tra i più fortunati che possono contare su una casa estiva al mare o in montagna, tra le cure di nonni o tate. Quindi i miei figli si trovano ogni estate al traino di mamma e papà. Soprattutto di mamma (dicono le statistiche). I centri estivi non sempre sono praticabili, comunque non per tutto il periodo estivo, costano e spesso l’offerta del territorio non copre tutto il periodo necessario o la richiesta. Il 1° febbraio, prima data utile per l’iscrizione al centro estivo del mio paese, ho puntato la sveglia alle 23:50 del giorno prima per riuscire ad accaparrarmi un posto per una settimana in agosto. Ce l’ho fatta per un pelo, pochissimi i posti rispetto alla richiesta... Considerando poi che la vacanza della famiglia, per quanto breve, ha un suo costo ulteriore, diventa ancora più difficile far quadrare i bilanci. Lo smart-working, se concesso, senz’altro semplifica la vita in termini di spostamenti, ma non toglie lo stress.
Il periodo estivo e le meritate vacanze, “avrebbero” il compito di restituire le energie spese durante l’anno in recupero intellettuale, fisico, emotivo. Ma per paradosso, spesso diventano motivo di stress e fatica: una settimana di centro estivo, una dai nonni, una con mamma e papà in vacanza, una al lavoro di mamma/papà, e così via, in un continuo e faticoso cambio di routine. Altro che recupero dover organizzare gli incastri e gli spostamenti facendo i salti mortali! Un costo più abbordabile dei centri estivi metterebbe una pezza al problema. Ma non lo risolverebbe. Quindi? Di certo lasciare che le famiglie gestiscano da sole il carico economico e psicologico delle chiusure scolastiche, non può essere l’unica.
In attesa che l’enigma si risolva... almeno durante la vacanza in famiglia, cerco di ricordarmi una cosa: che “vacanza” deriva da “vacans”, participio presente di vacare “essere vuoto, libero”. La vacanza dovrebbe servire a svuotare il più possibile la quotidianità da impegni e fatiche. E quindi... una settimana di pasti a base di gelato, pizza e piadine, anziché un calcolo bilanciato di proteine e nutrienti, non bloccherà la crescita dei bambini. Andare a letto per una volta con la salsedine senza fare la doccia non rovinerà la loro epidermide in modo irrimediabile. Andare in spiaggia senza pensare alle creme solari e alle borracce? Ce la posso fare: non è che se non lo faccio io non lo fa nessuno, è che se continuo a farlo io non lo impara nessuno. Tutte, e tutti, ci meritiamo questa leggerezza, anche per più di una settimana l’anno, in verità.
Noi non siamo tra i più fortunati che possono contare su una casa estiva al mare o in montagna, tra le cure di nonni o tate. Quindi i miei figli si trovano ogni estate al traino di mamma e papà. Soprattutto di mamma (dicono le statistiche). I centri estivi non sempre sono praticabili, comunque non per tutto il periodo estivo, costano e spesso l’offerta del territorio non copre tutto il periodo necessario o la richiesta. Il 1° febbraio, prima data utile per l’iscrizione al centro estivo del mio paese, ho puntato la sveglia alle 23:50 del giorno prima per riuscire ad accaparrarmi un posto per una settimana in agosto. Ce l’ho fatta per un pelo, pochissimi i posti rispetto alla richiesta... Considerando poi che la vacanza della famiglia, per quanto breve, ha un suo costo ulteriore, diventa ancora più difficile far quadrare i bilanci. Lo smart-working, se concesso, senz’altro semplifica la vita in termini di spostamenti, ma non toglie lo stress.
Il periodo estivo e le meritate vacanze, “avrebbero” il compito di restituire le energie spese durante l’anno in recupero intellettuale, fisico, emotivo. Ma per paradosso, spesso diventano motivo di stress e fatica: una settimana di centro estivo, una dai nonni, una con mamma e papà in vacanza, una al lavoro di mamma/papà, e così via, in un continuo e faticoso cambio di routine. Altro che recupero dover organizzare gli incastri e gli spostamenti facendo i salti mortali! Un costo più abbordabile dei centri estivi metterebbe una pezza al problema. Ma non lo risolverebbe. Quindi? Di certo lasciare che le famiglie gestiscano da sole il carico economico e psicologico delle chiusure scolastiche, non può essere l’unica.
In attesa che l’enigma si risolva... almeno durante la vacanza in famiglia, cerco di ricordarmi una cosa: che “vacanza” deriva da “vacans”, participio presente di vacare “essere vuoto, libero”. La vacanza dovrebbe servire a svuotare il più possibile la quotidianità da impegni e fatiche. E quindi... una settimana di pasti a base di gelato, pizza e piadine, anziché un calcolo bilanciato di proteine e nutrienti, non bloccherà la crescita dei bambini. Andare a letto per una volta con la salsedine senza fare la doccia non rovinerà la loro epidermide in modo irrimediabile. Andare in spiaggia senza pensare alle creme solari e alle borracce? Ce la posso fare: non è che se non lo faccio io non lo fa nessuno, è che se continuo a farlo io non lo impara nessuno. Tutte, e tutti, ci meritiamo questa leggerezza, anche per più di una settimana l’anno, in verità.