Amore
Questo non è amore
// Linda Albanese //
La violenza non è mai amore, in nessuna delle sue tante forme. O meglio, facce. Facce sì, che i dati dei reati associano troppo spesso a persone non estranee a noi, ma che crediamo care, che crediamo ci vogliano bene o ci facciano bene e invece... non è amore.
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Lo stesso nome del titolo di questo articolo lo porta la campagna permanente della Polizia di Stato per contrastare e prevenire i femminicidi: “Questo non è amore”. Lanciato per la prima volta il 25 novembre del 2016 in occasione della Giornata internazionale della lotta alla violenza contro le donne, e tutt’ora in vita, il progetto impegna le questure di tutte le province d’Italia con iniziative di vario genere finalizzate ad accrescere la consapevolezza sul tema della violenza fisica, psicologica, economica e digitale contro le donne. Gli obiettivi prioritari sono quelli di creare un contatto diretto e anonimo tra le donne e una equipe di operatori specializzati pronti a raccogliere le richieste di aiuto. Un’opera di sensibilizzazione che contestualmente deve essere svolta, da tutti, anche sotto il profilo psicologico e culturale. "Il mio è un bravo marito, non mi picchia mai", era una frase purtroppo comune fra le donne italiane fino agli anni ‘50. Non picchiare la moglie, anche se di fatto allora era un diritto, certamente non bastava per essere definito amore. È evidente che le percosse, allora come oggi, non siano amore, ma non è amore nemmeno l’essere controllata, l’essere costretta a lasciare il lavoro, insultata, seguita. Ci sono forme di violenza più sottili, ma comunque aberranti, atroci, pericolose, che altrettanto evidentemente devono essere prima di tutto riconosciute come “non amore”, anche se avvengono nella coppia o in famiglia (come per la maggior parte dei casi) e poi denunciate e intraprendere un percorso individualizzato, in cui vengono messe in atto le misure adatte.
Il linguaggio dei media ha la sua parte
Le notizie incalzanti di aggressioni, abusi, stupri, femminicidi giorno dopo giorno aumentano la dimensione della nostra angoscia e anche il modo con cui vengono presentate non è irrilevante. Inoltre, troppo spesso, questo linguaggio diventa un’ulteriore, subdola aggressione alla vittima. Un esempio? "Ubriache fradicie in spiaggia, due 15enni violentate dall’amichetto." E ancora “Aurelia uccisa dal compagno, la mamma difende il figlio: 'Lei sempre al telefono, veniva trattato come un cane'”. Queste donne sono vittime di un linguaggio che le rende “complici” persino quando sono la parte lesa. È invece auspicabile, come afferma la Federazione internazionale dei giornalisti, “nei casi di femminicidio adottare il punto di vista della vittima, in modo da ridarle la dignità e l’umanità che, in una cronaca quasi sempre morbosamente centrata sulla personalità dell’omicida, sono spesso perdute”. E proprio per arginare questo fenomeno, il 26 ottobre è partito l'Osservatorio indipendente sui media contro la violenza nel linguaggio sulle donne con gli obiettivi: della realizzazione di un monitoraggio esperto quotidiano del racconto giornalistico della violenza di genere; della costruzione di uno spazio pubblico di discussione volto a decostruire le rappresentazioni stereotipate della violenza di genere e, infine, dell'organizzazione periodica di attività di formazione sulla corretta rappresentazione della violenza di genere rivolte alle professioniste e ai professionisti del mondo dell'informazione, nonché agli studenti.
Non solo una brutta sensazione
I media, certo, fanno la loro parte e ci bombardano di notizie di fatti terribili spesso con titoli a effetto, purtroppo però non si tratta “solo” di una sensazione quella che la violenza sulle donne sia in preoccupante aumento, l’allarme c’è. Sono i dati a dimostrare che negli ultimi dieci anni in Italia, così come in Alto Adige, le violenze sulle donne siano in progressiva e costante crescita. I numeri alti parlano chiaro, ma va tenuto anche in considerazione che l’aumento dei casi evidenziato dalle analisi potrebbe essere frutto di una maggiore propensione a rivolgersi alle Forze di polizia, all’Autorità Giudiziaria e ai centri di aiuto tale, che negli ultimi anni si sia registrata una crescita degli indicatori, sia per quanto concerne i reati commessi, sia per la relativa azione di contrasto. Un segnale positivo, questo, della crescente fiducia nei confronti delle istituzioni. Chiaramente i dati si basano sul patrimonio informativo delle forze di polizia, che non consente di poter valutare il cosiddetto “numero oscuro”, costituito da tutti quei casi che non vengono denunciati alle autorità competenti.
Gli ultimi dieci anni
Il Servizio Analisi Criminale del Dipartimento della Pubblica Sicurezza ha pubblicato lo scorso settembre un report sull’andamento generale negli ultimi dieci anni, in Italia, dei reati cosiddetti spia, ovvero delitti che sono ritenuti i possibili indicatori di una violenza di genere, con un’analisi puntuale dei dati attinenti alla violenza sessuale declinata in tutte le sue forme e con un focus specifico sulla violenza sessuale di gruppo, tema che recentemente è alla costante attenzione mediatica. L’analisi mostra purtroppo un trend in progressivo e costante incremento. La variazione più ragguardevole attiene all’incremento del 105% conseguito nell’intero periodo per i maltrattamenti contro familiari e conviventi, seguita da quella del 48% per gli atti persecutori. Mentre per le violenze sessuali si rileva un importante aumento, pari al 40% (4.488 casi nel 2013 a fronte dei 6.291 nel 2022). La violenza sessuale, declinata in tutte le sue forme, negli ultimi dieci anni registra un trend in crescita. L’incremento, significativo, si è attestato al 40%, con 6.291 eventi nel 2022 a fronte dei 4.488 del 2013. Nel 30% dei casi è stata una vittima minorenne. Anche per quanto riguarda la violenza sessuale di gruppo, si rileva un andamento in costante aumento per tutto il periodo in esame. Tra le vittime di questa terribile violenza, circa un terzo non raggiunge la maggiore età. Quando la vittima è minorenne, nella maggior parte di casi anche gli autori sono coetanei.
Uno sguardo sull’Alto Adige
Anche nella nostra Provincia, secondo i numeri diffusi dalla Questura di Bolzano, negli ultimi dieci anni i casi di violenza sulle donne sono in progressivo e preoccupante aumento. Nel 2023 gli uffici della Questura di Bolzano hanno trattato 139 casi di violenza sulle donne e sono i partner gli autori della maggior parte dei maltrattamenti. In Alto Adige, nel primo semestre di quest’anno, sono cresciute del 50%, rispetto allo stesso periodo del 2022, le misure di divieto di avvicinamento alla parte offesa e l’allontanamento dalla casa familiare: 28 casi. Gli operatori si dicono preoccupati. Chi si affida ai centri antiviolenza solitamente ha subito una violenza domestica, la maggior parte dal proprio partner, in forma minore da conoscenti e familiari. Quella fisica è la più evidente, ma è in aumento quella psicologica. È un intreccio, raramente il maltrattante si limita a un solo tipo di violenza. La violenza psicologica è presente nella quasi totalità dei casi (il 90% secondo Gea, l’associazione per la solidarietà femminile contro la violenza): revenge porn, stalking e minaccia di matrimonio forzato sono gli esempi più tipici.
60 anni fa picchiare la moglie in Italia era un diritto
Forse non molti sanno che il 2023 segna il sessantesimo anno dalla cancellazione dal codice penale italiano della legge che riconosceva al marito il diritto di educare con la violenza la moglie, oltre che i figli. Praticamente l’altro ieri. La legge era nota come Ius Corrigendi. Oggi per Ius Corrigendi si intende semplicemente il diritto dei genitori di usare mezzi di correzione e di limitazione della libertà personale dei figli, senza violenza, quando questo è nell'interesse della loro educazione. Altra data, il 1996, anno in cui è stata emendata la legge secondo cui lo stupro e l'incesto erano considerati delitti contro la morale e non contro la vittima. E ancora, il non lontano 1981, è l’anno in cui sono stati aboliti il Delitto d’onore, in base al quale erano previste attenuanti per chi uccideva la moglie sospettata di adulterio, e il Matrimonio riparatore che costringeva le donne a sposare i loro carnefici per salvare l'onore della famiglia. Nonostante nel 1956 la Corte costituzionale emise una sentenza in cui veniva riconosciuta l'incompatibilità dello Ius Corrigendi con la Costituzione Italiana, bisogna aspettare il 1975 anche per rifare il Diritto di famiglia, che ha abolito la patria potestà del marito su moglie e figli per eliminare i tanti squilibri in favore dell’uomo nella vita familiare. A seguire ci sono stati altri passi avanti sempre sul principio dell’uguaglianza fra i sessi, fatti anche in tempi recenti, ma la strada da percorrere è ancora lunga.