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Protagoniste mai scontate, di ieri, di oggi, di domani

// Linda Albanese //
Storie e parole di scienziate come modello e incoraggia­mento per chi con passione, preparazione e perseveranza vuole rendere il mondo un posto migliore dedicandosi alla scienza.
© national library of medicine - unsplash
“Durante le mie conferenze chiedo spesso al pubblico di individuare in sala le invenzioni scoperte da scienziate, e quasi nessuno sa che dietro il computer o il Wi-Fi ci sono due donne, Ada Lovelace Byron e Hedy Lamarr”. A parlare è Mirella Orsi, divulgatrice scientifica, vicepresidente dell’Associazione Donne e Scienza e curatrice del recente volume “Prime, le 10 scienziate dell’ambiente che sono rimaste nell’ombra” (Codice Edizioni) realizzato da un gruppo di giornaliste e giornalisti ambientali in totale parità di genere. Mentre molte delle scoperte scientifiche sono conosciute a tutti, i nomi e le storie che stanno dietro a quelle scoperte sono sparite per tantissimo tempo, nascoste dal gender gap, e ancora largamente sconosciute. Questo fenomeno ha un nome, si chiama “Effetto Matilda”, ovvero la puntuale negazione o la minimizzazione dei risultati scientifici conseguiti dalle donne, i cui studi vengono spesso attribuiti ai loro colleghi uomini, non a causa della scarsa qualità scientifica del loro lavoro, ma per motivi di genere. La definizione è stata creata negli anni ’90 dalla storica della scienza Margaret W. Rossiter proprio per descrivere il lavoro misconosciuto di molte ricercatrici. Il nome “Matilda” fa riferimento a Matilda Joslyn Gage, attivista americana per i diritti delle donne che a fine Ottocento si batteva e scriveva per ridare protagonismo a figure storiche femminili dimenticate.

Grandi nell’ombra
Le ricerche e carriere di tante scienziate sono costellate da punti oscuri determinati dalla discriminazione di genere. Celebre è l’amara vicenda della chimica e fisica britannica Rosalind Franklin, le cui ricerche furono di vitale importanza per la scoperta della struttura a doppia elica del DNA. I dati dei suoi lavori finirono però nelle mani di Watson e Crick, scienziati di un laboratorio rivale che – sfruttando il lavoro non riconosciuto della donna – si aggiudicarono, insieme a Wilkins, ex collega della Franklin, il Nobel per la Medicina. Era il 1962: quattro anni dopo la morte, per cancro alle ovaie, di Rosalind. C’è Esther Lederberg, microbiologa e immunologa statunitense, pioniera della genetica batterica, che scoprì due elementi chiave nell'ottenimento del Nobel di suo marito Joshua Lederberg. Non le fu riconosciuto il suo ruolo nella ricerca né dall'accademia né da suo marito. C’è Nettie Stevens che dimostrò che il sesso di un organismo è determinato dai suoi cromosomi, partendo dall'osservazione dei moscerini della frutta. La sua scoperta ha poi permesso a Thomas Hunt Morgan di ottenere nel 1933 il premio Nobel ma il lavoro della scienziata non ottenne mai il riconoscimento che le sarebbe stato dovuto. Ancora in vita, l'astrofisica britannica Susan Jocelyn Bell è la scopritrice della prima pulsar. Ascoltando il rumore di fondo della registrazione compiuta sul cielo, Bell trovò un segnale che pulsava in modo regolare. Il Nobel per la scoperta andò però, nel 1974, solo ad Antony Hewish, visto che i risultati scientifici si riteneva appartenessero al capo laboratorio, sempre un uomo anziano, e non a una giovane ricercatrice. La lista è lunghissima, abbiamo centinaia di anni di oscurantismo da recuperare e purtroppo le disparità di genere nel mondo scientifico sono ancora oggi un problema.

A insaputa di Henrietta
Colpisce la storia di un’altra donna, questa volta non una scienziata, rimasta nell’ombra per tantissimo tempo, che è venuta alla luce solo una quindicina di anni fa grazie soprattutto a un libro scritto dalla giornalista scientifica Rebecca Skloot dal titolo La vita immortale di Henrietta Lacks, pubblicato quasi sessant’anni dopo la morte della donna. Da quel momento, c’è stato un crescendo di riconoscimenti da parte di istituzioni pubbliche e dalla comunità scientifica. Tra le linee cellulari, le più diffuse sono le HeLa, una linea di cellule tumorali della cervice uterina, estremamente resistenti e in grado di moltiplicarsi in maniera indefinita in numerosissime condizioni. HeLa però non è una sigla come un’altra: dietro quelle due sillabe si cela il nome di una donna afroamericana originaria della Virginia, che nel 1951 è morta a causa di un tumore al collo dell’utero. Le sue cellule cancerose, prelevate senza il suo consenso – non che fosse necessario, all’epoca – sono state la prima linea cellulare della storia. Nel corso degli anni, le cellule HeLa si sono diffuse in maniera capillare nei laboratori di tutto il mondo, e hanno fatto sì che venisse implementato il vaccino contro la poliomielite, hanno favorito gli studi sui tumori di ogni tipo, le ricerche sull’AIDS e sull’infezione da HIV, fino a essere protagoniste di esperimenti sugli effetti dell’assenza di gravità. La vicenda della donna, legata al tema del consenso dei pazienti, è densa di controversie, che faticano a risolversi nonostante il tempo trascorso.

Premiate per meriti scientifici
L’11 febbraio si celebra la Giornata internazionale delle donne e delle ragazze nella scienza, evento istituito nel 2015 dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite per sfatare miti, sconfiggere pregiudizi, superare stereotipi e accelerare il progresso promuovendo iniziative per favorire la piena parità di genere nelle scienze. Non è infatti scontato che, a differenza del passato, oggi le ragazze e le donne abbiano lo stesso accesso all'istruzione e alla carriera degli uomini e dei ragazzi. Secondo l’Unesco, le donne costituiscono meno del 30% dei ricercatori di tutto il mondo. In Italia, anche se la percentuale è più alta, i vertici degli istituti di ricerca sono ancora largamente occupati da uomini. Molti studi rilevano inoltre che le donne nei campi STEM pubblicano meno degli uomini, sono pagate meno degli uomini, e non hanno accesso agli stessi scatti di carriera di un uomo con pari livello. Questo rende ancora più importante evidenziare esempi positivi, come lo sono i lavori premiati ormai da 24 anni dalla Commissione provinciale per le pari opportunità della Provincia di Bolzano per gli elaborati scientifici sulle pari opportunità e le questioni di genere. Nell’ultima edizione, il primo premio è stato assegnato a Mathilde Galli per la sua tesi di ricerca "Pace al femminile”, sulla necessità di un approccio di genere nel peacebuilding. L'Alto Adige ha tante donne talentuose, anche nei settori dell'innovazione e della ricerca, i cui lavori e le cui carriere vanno valorizzati e riconosciuti. Per ispirare e avvicinare le nuove generazioni alle discipline scientifiche e per ridurre il gender gap nelle materie STEM e non solo. Per la sua attività di ricerca scientifica straordinaria e per il merito di ricoprire una posizione eminente nella comunità scientifica internazionale è stata premiata con il Women in Science Award Alto Adige 2024 la neurogenetista Irene Pichler. La ricercatrice della Val Pusteria si occupa del morbo di Parkinson e della Restless legs syndrom. Il suo lavoro aiuta a riconoscere le cause e a trovare soluzioni terapeutiche.

Voci dall’Alto Adige
Della giuria di Women in Science Award Alto Adige a consegnare il premio a Irene Pichler è stata Claudia Notarnicola, fisica e direttrice dell’Istituto per l’osservazione della Terra di Eurac Research e già vincitrice del premio nel 2020 per la sua carriera scientifica straordinaria sviluppata in un ambito, quello della fisica aerospaziale, a forte prevalenza maschile. Le abbiamo chiesto che cosa l’ha spinta verso il mondo scientifico. “C’è stata una intuizione iniziale, che si esprimeva in una passione verso le scoperte, fossero esse scientifiche, tecnologiche, archeologiche. Mi incuriosivano tantissimo gli esperimenti scientifici dove a partire da diverse misurazioni, come quella del tempo o delle dimensioni geometriche, si possono derivare delle regole matematiche che governano i diversi fenomeni. Seguendo questa passione, ho deciso di iscrivermi a fisica all’università e ho quindi seguito questa strada”. Aggiunge che però poi come donna lungo il percorso qualche difficoltà ha dovuto affrontarla. “’Sei una donna e questo tipo di studi non fa per te’, ‘è troppo difficile per una ragazza studiare fisica’, ‘le ragazze non sono capaci di seguire materie scientifiche’ sono frasi che ho sentito spesso quando studiavo e non nego che molti parenti e conoscenti erano convinti che non ce l’avrei fatta neanche a laurearmi. Quindi si parte già in modo svantaggiato poiché si vive continuamente a contatto con questi pregiudizi. Poi nelle fasi successive della mia carriera mi è capitato spesso che, scrivendo nel mio titolo ‘Dr.’ mutuato dall’inglese Doctor che si riferisce a chi ha conseguito un dottorato di ricerca, in varie riunioni le persone si aspettavano di vedere un uomo e non una donna.” Come ha superato tali pregiudizi? “In questi contesti, sono fondamentali la determinazione e la forza di volontà nel raggiungere i propri obiettivi, oltre alla costruzione di reti di supporto di colleghi e colleghe che, per fortuna, erano e sono al di fuori di questi meccanismi di discriminazione di genere”, racconta Claudia Notarnicola.

Chi ha ricevuto un riconoscimento alquanto speciale per il suo lavoro di ricerca svolto negli anni è Evelyn Kustatscher, paleobotanica altoatesina che studia le piante fossili delle Dolomiti, conservatrice della sezione paleobotanica del Museo di Scienza Naturali dell’Alto Adige. Il suo nome non compare più solo nei libri e negli articoli scientifici, ma anche (latinizzato come si conviene al codice internazionale), nelle nomenclature ufficiali. Acutitomaria kustatscherae è infatti il nome che due studiosi dell’Università di Monaco, hanno voluto attribuire al fossile del gasteropode ritrovato nei pressi del lago di Braies, anche grazie al supporto e alla professionalità di Evelyn Kustatscher durante le ricerche. Un bel modo questo con cui i colleghi possono dimostrarti di apprezzare il tuo lavoro. Wir haben sie gefragt welche Herausforderungen sie als Frau in ihrem Bereich erlebt hat und wie sie diese überwunden hat. “Forschung ist grundsätzlich ein steiniger Weg, der viel Durchhaltevermögen erfordert. Bei der Arbeit mit Fossilien spielt nicht nur Wissen eine Rolle, sondern auch physische Stärke, wenn es darum geht, Fossilien zu sammeln und sicher nach Hause zu bringen. Vor 20 Jahren, als ich mein Studium abschloss, war der Anteil an Professorinnen in der Geologie verschwindend gering. Es war nicht einfach, sich in einer von Männern dominierten Disziplin Gehör zu verschaffen. Doch durch meinen ‚sturen Tiroler Schädel‘ kam für mich Aufgeben nicht in Frage. Ich habe gelernt, Hindernisse als Chancen zu sehen, um zu wachsen, und meinen Weg auch bei Gegenwind weiterzugehen”, racconta Evelyn Kustatscher. Le abbiamo chiesto che cosa si può fare per incoraggiare più giovani donne a interessarsi alle materie STEM. “Ich glaube, dass Mädchen in den MINT-Fächern oft durch herausragende Leistungen auffallen, und diese Stärken sollten gezielt gefördert werden. Allerdings sehen wir, dass viele Frauen in der Wissenschaft bis zum Postdoc-Level erfolgreich sind, aber dann an der Schnittstelle zwischen Karriere und Familie ins Straucheln geraten und die Wissenschaft verlassen. Das liegt nicht an mangelnder Begeisterung, sondern oft daran, dass das geforderte Durchhaltevermögen und die fehlende Unterstützung sie überfordern. Um mehr Frauen langfristig in der Wissenschaft zu halten, müssen wir Karrierewege schaffen, die es allen ermöglichen, ihrer Leidenschaft für die Forschung nachzugehen. Dazu gehören bessere Möglichkeiten und Unterstützung bei der Kinderbetreuung, die Teilnahme an Tagungen und die Vereinbarkeit von Beruf und Familie. Gleichzeitig halte ich es für entscheidend, jungen Wissenschaftlerinnen erfahrene Mentorinnen an die Seite zu stellen, mit denen sie sich austauschen und von deren Erfahrungen lernen können. Solche Netzwerke und Vorbilder sind ein wichtiger Schlüssel, um Frauen zu ermutigen, langfristig in den MINT-Fächern zu bleiben und ihre Potenziale voll auszuschöpfen”.
La stessa domanda l’abbiamo fatta a Selena Milanovic, giovane scienziata che da Merano, dopo essersi laureata alla UNI Bozen, è partita per una brillante carriera nel campo dell’ingegneria biomedica. Inserita da Forbes tra i 100 migliori talenti italiani del 2022, durante il suo dottorato all'università di Oxford ha sviluppato un modello cerebrale per la ricerca sull'Alzheimer. Oggi lavora a Berlino come responsabile globale di tecnologie per la cardiologia strutturale alla Siemens Healthineers. “Um mehr junge Frauen für MINT-Fächer zu begeistern ist es essenziell, Bildungsprogramme zu schaffen, die inspirieren und das Potenzial der MINT-Fächer (Mathematik, Informatik, Naturwissenschaften, Technik) aufzeigen. Wir sollten auch weibliche Vorbilder präsentieren, die junge Frauen motivieren. Es ist genauso wichtig, inklusive Umgebungen zu schaffen und die Zusammenarbeit zu fördern, um alle Stimmen und Beiträge zu schätzen. Die Geschlechtergleichheit ist ein gemeinsames Ziel, das nur durch Kooperation erreicht werden kann”. Le abbiamo anche chiesto se c’è una figura femminile che è per lei fonte di ispirazione. “Eine Frau, die mich inspiriert, ist Mileva Marić, die serbische Wissenschaftlerin und Mathematikerin. Trotz der Schwierigkeiten ihrer Zeit zeigte sie eine außergewöhnliche Hingabe zur Wissenschaft und überwand soziale Barrieren. Das motiviert mich, meinen Weg mit demselben Innovationsgeist und derselben Entschlossenheit fortzusetzen”. Un altro nome, quello della scienziata serba, che in pochi conoscono, nonostante il suo contributo agli sviluppi della fisica moderna, in particolare nel lavoro che portò alle teorie della relatività di Einstein (suo primo marito). Ma è importante sottolineare come questa scienziata del passato, seppur vittima dell’Effetto Matilda, sia stata capace di motivare una giovane scienziata di oggi.

© Annelie Bortolotti (Eurac Research)
Claudia Notarnicola



Può raccontarci cosa l’ha spinta a intraprendere una carriera nel settore STEM e quale è stata la sua ispirazione iniziale?
C’è stata una intuizione iniziale, che si esprimeva in una passione verso le scoperte, fossero esse scientifiche, tecnologiche, archeologiche. Durante gli anni del liceo, mi hanno appassionato le materie scientifiche come la matematica, la fisica, la chimica. In particolare, ha sempre attratto il mio interesse la possibilità di poter descrivere fenomeni naturali con numeri ed equazioni. Mi incuriosivano tantissimo gli esperimenti scientifici dove a partire da diverse misurazioni, come quella del tempo o delle dimensioni geometriche, si possono derivare delle regole matematiche che governano i diversi fenomeni. Seguendo questa passione, ho deciso di iscrivermi a fisica all’università e ho quindi seguito questa strada.

Quali sono state le principali sfide che ha incontrato come donna nel suo campo e come è riuscita a superarle?
“Sei una donna e questo tipo di studi non fa per te”, “è troppo difficile per una ragazza studiare fisica”, “le ragazze non sono capaci di seguire materie scientifiche”, sono frasi che ho sentito spesso quando studiavo e non nego che molti parenti e conoscenti erano convinti che non ce l’avrei fatta neanche a laurearmi. Quindi si parte già in modo svantaggiato poiché si vive continuamente a contatto con questi pregiudizi. Poi nelle fasi successive della mia carriera mi è capitato spesso che, scrivendo nel mio titolo “Dr.” mutuato dall’inglese Doctor che si riferisce a chi ha conseguito un dottorato di ricerca, in varie riunioni le persone si aspettavano di vedere un uomo e non una donna. In questi contesti, sono fondamentali la determinazione e la forza di volontà nel raggiungere i propri obiettivi, oltre alla costruzione di reti di supporto di colleghi e colleghe che, per fortuna, erano e sono al di fuori di questi meccanismi di discriminazione di genere.

Il lavoro che svolge ha avuto un impatto diretto su di lei a livello personale o sulla comunità scientifica più ampia? Può farci un esempio?
La possibilità di risolvere problemi complessi e contribuire con il proprio lavoro, anche se minimo, al progresso della conoscenza umana rappresentano sia soddisfazioni che le spinte motivazionali che ti portano avanti nel lavoro quotidiano. Le scoperte e le innovazioni in questi campi possono da un lato migliorare la comprensione dei fenomeni naturali e allo stesso tempo aprono nuove strade di ricerca e applicazioni pratiche. Le innovazioni tecnologiche e scientifiche hanno un impatto profondo sulla società. Ad esempio, lo sviluppo e le applicazioni di tecnologie satellitari aiutano a comprendere cosa sta succedendo al nostro ambiente. In caso di disastri naturali come alluvioni o sismi si può avere subito una prima fotografia di cosa è successo e su questo poter anche valutare il tipo di intervento e la risposta.

Secondo la sua esperienza, cosa può essere fatto per incoraggiare più giovani donne a interessarsi alle materie STEM?
Ci sono diversi approcci che dovrebbero in modo sinergico contribuire a incoraggiare le nuove generazioni a interessarsi alle materie STEM. Si deve agire su diversi livelli, al fine di cancellare e rendere obsoleto il mondo di pregiudizi che ancora oggi circondano il binomio “donna-scienza”. A partire dalle famiglie, dove si può creare un ambiente di supporto per incoraggiare le ragazze a esplorare e sviluppare le loro passioni, senza vincoli legati al genere.

L’avvicinamento alle materie STEM deve avvenire sin dalla scuola primaria, con attività pratiche, laboratori e progetti per rendere l’apprendimento più coinvolgente. A questo si possono aggiungere programmi di supporto specifici per le ragazze come campi estivi STEM e club scolastici. Visite aziendali e stage in aziende sono molto utili per illustrare in modo pratico cosa potrebbe essere una carriera nel campo STEM. In realtà queste soluzioni avrebbero un valore per tutti al fine di rendere attraenti le discipline scientifiche, e non solo per le ragazze. Infine, storie di donne scienziate possono essere un modello e quindi una ispirazione, dimostrando che si può avere successo in questi settori.

C’è una figura femminile che considera un modello da seguire o una fonte d’ispirazione?
Le mie fonti di ispirazione sono in generale le persone che perseguono i loro obiettivi e le proprie aspirazioni, sviluppando una resilienza tale da fargli superare le inevitabili difficoltà presenti in ogni tipo di carriera.

Tra le figure femminili sicuramente mi colpisce molto Katherine Johnson che ha svolto un ruolo cruciale nei calcoli che hanno permesso le missioni spaziali della NASA, inclusa la missione Apollo 11 che ha portato l'essere umano sulla Luna. La sua storia è stata anche protagonista del film “Il diritto di contare” (2017). Con la sua abnegazione, determinazione e capacità è riuscita a superare tutti i pregiudizi e le limitazioni che potevano esserci per una donna di colore che lavorava in ambito aerospaziale nell’America degli anni ’60.


Evelyn Kustatscher



Können Sie uns erzählen, was Sie dazu bewegt hat, eine Karriere im MINT-Bereich einzuschlagen, und was Ihre anfängliche Inspiration war?
Schon als Kind war ich von der Natur und ihren Geheimnissen fasziniert, besonders von Fossilien, die wie kleine Fenster in die Vergangenheit wirken. Während meines Studiums an der Universität Ferrara hatte ich das große Glück, zwei beeindruckende Paläontologinnen zu treffen. Sie haben nicht nur ihr enormes Wissen mit mir geteilt, sondern auch ihre Begeisterung für die Forschung. Dank ihnen entschied ich mich, meinen eigenen Weg in der Wissenschaft zu suchen.

Welche waren die größten Herausforderungen, denen Sie als Frau in Ihrem Bereich begegnet sind, und wie haben Sie es geschafft, diese zu überwinden?
Forschung ist grundsätzlich ein steiniger Weg, der viel Durchhaltevermögen erfordert. Bei der Arbeit mit Fossilien spielt nicht nur Wissen eine Rolle, sondern auch physische Stärke, wenn es darum geht, Fossilien zu sammeln und sicher nach Hause zu bringen. Vor 20 Jahren, als ich mein Studium abschloss, war der Anteil an Professorinnen in der Geologie verschwindend gering. Es war nicht einfach, sich in einer von Männern dominierten Disziplin Gehör zu verschaffen. Doch durch meinen „sturen Tirolerschädel“ kam für mich Aufgeben nicht in Frage. Ich habe gelernt, Hindernisse als Chancen zu sehen, um zu wachsen, und meinen Weg auch bei Gegenwind weiterzugehen.

Hat Ihre Arbeit einen direkten Einfluss auf Sie persönlich oder auf die breitere wissenschaftliche Gemeinschaft gehabt? Können Sie uns ein Beispiel geben?
Wenn man kämpfen muss, um voranzukommen, wird man zwangsläufig stärker. Ich habe gelernt, dass ein gescheiterter Versuch niemals das Ende bedeutet, sondern oft neue Wege aufzeigt. Mein Leitsatz lautet: Nichts ist unmöglich, man muss nur den richtigen Ansatz finden, um sein Ziel zu erreichen. Ich habe gezeigt, dass es möglich ist, auch als Paläontologin in einem kleinen Provinzmuseum internationale Forschungsprojekte zu leiten und international Erfolg zu haben. Ein Beispiel dafür ist unsere Publikation "No mass extinction for land plants at the Permian–Triassic transition". Diese Arbeit stellte die Annahme in Frage, dass Pflanzen bei Massenaussterben genauso anfällig sind wie Tiere, und löste eine neue Phase der Forschung zu diesem Massenaussterben vor 252 Millionen Jahren aus.

Die Digitalisierung hat uns als kleine Institution neue Möglichkeiten eröffnet, gleichzeitig aber auch gezeigt, wie wichtig Engagement und Kreativität sind, um erfolgreich zu sein. Heute werde ich aktiv für internationale Projekte kontaktiert – ein Beweis dafür, dass harte Arbeit und Durchhaltevermögen langfristig Früchte tragen.

Ihrer Erfahrung nach, was könnte getan werden, um mehr junge Frauen für die MINT-Fächer zu begeistern?
Ich glaube, dass Mädchen in den MINT-Fächern oft durch herausragende Leistungen auffallen, und diese Stärken sollten gezielt gefördert werden. Allerdings sehen wir, dass viele Frauen in der Wissenschaft bis zum Postdoc-Level erfolgreich sind, aber dann an der Schnittstelle zwischen Karriere und Familie ins Straucheln geraten und die Wissenschaft verlassen. Das liegt nicht an mangelnder Begeisterung, sondern oft daran, dass das geforderte Durchhaltevermögen und die fehlende Unterstützung sie überfordern. Um mehr Frauen langfristig in der Wissenschaft zu halten, müssen wir Karrierewege schaffen, die es allen ermöglichen, ihrer Leidenschaft für die Forschung nachzugehen. Dazu gehören bessere Möglichkeiten und Unterstützung bei der Kinderbetreuung, die Teilnahme an Tagungen und die Vereinbarkeit von Beruf und Familie. Gleichzeitig halte ich es für entscheidend, jungen Wissenschaftlerinnen erfahrene Mentorinnen an die Seite zu stellen, mit denen sie sich austauschen und von deren Erfahrungen lernen können. Solche Netzwerke und Vorbilder sind ein wichtiger Schlüssel, um Frauen zu ermutigen, langfristig in den MINT-Fächern zu bleiben und ihre Potenziale voll auszuschöpfen.

Gibt es eine weibliche Persönlichkeit, die Sie als Vorbild sehen oder die Sie inspiriert hat?
Meine ersten Vorbilder waren meine beiden Mentorinnen: Prof. Carmela Loriga Broglio (Universität Ferrara) und Johanna H.A. van Konijnenburg van Cittert (Universitäten Leiden und Utrecht, NL). Sie haben mir nicht nur die Welt der Paläontologie eröffnet, sondern auch gezeigt, wie viel Leidenschaft und Engagement Wissenschaft erfordert. Besonders inspiriert hat mich auch Prof. Rita Levi-Montalcini, eine der wenigen italienischen Nobelpreisträgerinnen. Ihre bahnbrechende Forschung und ihr unermüdlicher Einsatz für Wissenschaft und Bildung haben mich immer inspiriert. In Südtirol bewundere ich besonders Ulrike Tappeiner. Sie ist nicht nur eine herausragende Wissenschaftlerin, sondern beeindruckt auch durch ihre Leidenschaft für die Forschung und ihre Unterstützung unzähliger Jungwissenschaftler*innen. Diese Frauen haben mir gezeigt, wie wichtig es ist, nicht nur zu forschen, sondern auch Türen zu öffnen und andere auf ihrem Weg zu begleiten. Genau dieses Prinzip versuche ich heute in meiner eigenen Arbeit weiterzugeben.



Selena Milanovic



Può raccontarci cosa l’ha spinta a intraprendere una carriera nel settore STEM e quale è stata la sua ispirazione iniziale?
Penso che sia essenziale contribuire a migliorare il mondo in cui siamo nati. Per le mie capacità intellettuali e caratteriali, il modo migliore per farlo è tramite la scienza medica e tecnologica. Sono una persona pragmatica e orientata verso risultati misurabili, e il settore STEM (scienza, tecnologia, ingegneria e matematica) rappresenta per me il mezzo ideale per raggiungere questo obiettivo. Questo approccio mi permette di combinare passione e competenze per creare un impatto concreto e positivo.

Welche Herausforderungen haben Sie als Frau in Ihrem Bereich erlebt, und wie haben Sie sie überwunden?
Eine wichtige Lektion war, dass viele Männer, besonders junge Männer unserer Generation, die Entwicklung von Frauen absolut unterstützen. Es ist daher essenziell, zusammenzuarbeiten – schließlich machen sie 50 Prozent der Bevölkerung aus. Wenn wir die Geschlechtergleichheit demokratisch erreichen wollen, müssen wir das gemeinsam mit ihnen tun.

Il lavoro che svolge ha avuto un impatto diretto su di lei a livello personale o sulla comunità scientifica più ampia? Può farci un esempio?
Durante il mio dottorato all'università di Oxford, ho sviluppato un modello cerebrale per la ricerca sull'Alzheimer, un'esperienza che ha avuto un impatto profondo sia sulla mia crescita personale sia sul progresso scientifico. Questo lavoro ha dimostrato come modelli computazionali, possano contribuire a comprendere e affrontare malattie complesse.

Un altro esempio significativo è stato il periodo durante il COVID-19, quando sono stata una delle consulenti scientifiche per il Parlamento britannico. All'inizio della pandemia, il nostro ruolo come scienziati era spiegare ai politici la natura del virus e come creare legislazioni adeguate per affrontarlo. Inoltre, in Pakistan, in una realtà completamente diversa dalla nostra, sono stata invitata a presentare soluzioni tecnologiche come la telemedicina per affrontare la mancanza di accesso agli ospedali nelle aree rurali. Queste esperienze hanno evidenziato il potenziale della scienza e della tecnologia nel creare un impatto sociale significativo, che per me è lo scopo focale della mia carriera.

Was kann Ihrer Meinung nach getan werden, um mehr junge Frauen für MINT-Fächer zu begeistern?
Es ist essenziell, Bildungsprogramme zu schaffen, die inspirieren und das Potenzial der MINT-Fächer (Mathematik, Informatik, Naturwissenschaften, Technik) aufzeigen. Wir sollten auch weibliche Vorbilder präsentieren, die junge Frauen motivieren. Es ist genauso wichtig, inklusive Umgebungen zu schaffen und die Zusammenarbeit zu fördern, um alle Stimmen und Beiträge zu schätzen. Die Geschlechtergleichheit ist ein gemeinsames Ziel, das nur durch Kooperation erreicht werden kann.

C’è una figura femminile che considera un modello da seguire o una fonte d’ispirazione?
Una figura che mi ispira profondamente è Mileva Marić (1875-1948), la scienziata e matematica serba, conosciuta per il suo contributo agli sviluppi della fisica moderna, in particolare nel lavoro che portò alle teorie della relatività di Einstein. Nonostante le difficoltà della sua epoca, Mileva dimostrò una dedizione straordinaria alla scienza, affrontando le barriere sociali con determinazione. Questo mi motiva a continuare il mio percorso con lo stesso spirito di innovazione e resilienza.

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s'Muschi-Ding voll durchziachn #1

// Hannah Lechner //
© Elisabeth Öggl
Letztes Weihnachten bin ich zum ersten Mal seit langem wieder in Südtirol ausgegangen. Das war ungefähr so: 26. Dezember, jede Menge Leute, die man seit Jahren nicht gesehen hat („Und, wou orbatasch du iaz!?“), vier Freund*innen und ich – und natürlich mit dem Auto dort, weil wie käme man sonst in sein Bergdorf zurück. Nach ein paar Bier für den Rest und Makava für mich, weil Auto, traf eine von uns einen alten Bekannten wieder. Sie redeten kurz – so über das Leben und darüber, was man darin jetzt so macht – und da fiel ein Satz, den ich in den Wochen danach in zahllosen Chat-Verläufen, Telefongesprächen und Barrunden zum Besten gegeben habe, meine Nachstellung mit theatralischer Mimik und Intonation begleitend und in etwa so einleitend: Wollt ihr wissen, wie man auf Südtirolerisch sagt „Wir haben uns lange nicht gesehen, aber ich leite von deinem Social-Media-Auftritt, deinem Job und anderen Initiativen ab, dass du dich politisiert hast und feministisch aktiv bist und positioniere mich demgegenüber kritisch (oder bin, bei gleichzeitiger Neugier, schlicht und einfach überrumpelt davon und hab grad keine Worte, um das hier anders auszudrücken)?“ Kunstvolle Pause meinerseits, belustigte Gesichter und erwartungsvolle Blicke meiner Gegenüber. Man sagt: „Du ziachsch dein Muschi-Ding voll durch, ha?“
War ich auf der Party selbst in erster Linie verstört, bin ich im Nachhinein geradezu euphorisch über diesen kondensierten Ausdruck cis-männlicher Überforderung durch die Konfrontation mit Feminismus. Er hat mir nämlich nicht nur ein (vielfältig auslegbares) Jahresmotto für 2025 beschert, sondern auch einen Titel für diese Kolumne. Was euch hier erwartet, sind die Südtirol-Erlebnisse einer Person, die auf Familienfeiern inzwischen konsequent mit „Weim ma do wieder amol siecht!“ begrüßt wird: Ich bin die anstrengende Nichte, die keinen Spaß mehr versteht, die eine „weirde“ Cousine, die keine Kinder will, die ehemalige Schulkollegin, die IMMER NOCH irgendwas studiert (was eigentlich!?). Ich hab‘ so einen woken, hypersensiblen Stadt-Freundeskreis, in dem wir uns nach unseren Pronomen fragen und beim Reden gendern. Und ich hab'schon eine Liste von Geschichten im Kopf, die ich euch nicht vorenthalten will. So stay tuned – das Muschi-Ding wird großartig!