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Mai scontati: i diritti delle donne in Europa e nel mondo

// Linda Albanese //
In Europa li viviamo come conquiste ormai consolidate, ma in molte parti del mondo i diritti fondamentali delle donne restano una lotta quotidiana
Non un velo, ma un muro: quello che separa troppe donne dai propri diritti. © Anastasia Shuraeva - pexels
Amina ha diciassette anni e vive a Kabul. Sognava di diventare insegnante, ma da due anni le scuole superiori per ragazze sono chiuse. Da settembre, in Afghanistan, persino i libri scritti da donne sono stati banditi dalle università. Le materie “in conflitto con la Sharia” – tra cui genere e sviluppo o sociologia femminile – sono vietate. L’ultima legge, approvata nel 2024, stabilisce che le donne possano parlare solo all’interno delle mura domestiche. Dopo il ritorno dei talebani, le donne afghane hanno perso quasi tutto: lavoro, scuola, visibilità pubblica. L’università è diventata un luogo proibito, e la vita fuori casa un rischio costante. Ma nelle case di Kabul e Herat continuano a esistere scuole segrete: gruppi di insegnanti che, rischiando la vita, tengono viva la speranza di un futuro diverso. “Ci tolgono la voce, ma non il pensiero”, dice una di loro in un messaggio anonimo diffuso sui social clandestini.

Battaglie per le libertà dei diritti negati
Dal 2022, il grido “Donna, Vita, Libertà” continua a risuonare in Iran dopo la morte di Mahsa Amini, uccisa perché “indossava male” il velo. Migliaia di giovani donne – e uomini – hanno sfidato la repressione, trasformando un simbolo di controllo in un segno di resistenza. Nonostante gli arresti e le condanne, molte ragazze continuano a uscire a capo scoperto, filmando gesti quotidiani che diventano atti politici. Tra passi avanti e battute d’arresto, l’America Latina è oggi un laboratorio di lotte per i diritti riproduttivi. L’Argentina e il Messico hanno legalizzato l’aborto, mentre in Brasile il tema divide ancora la politica e la società. Contro la violenza e i femminicidi, il movimento Ni Una Menos continua a riempire le piazze: un’onda di corpi, voci e cartelli che chiedono giustizia e uguaglianza, ricordando che la libertà si conquista insieme o non si conquista affatto. In molte regioni dell’Africa subsahariana, il matrimonio precoce e le mutilazioni genitali femminili restano realtà diffuse. Eppure, non mancano segni di cambiamento: donne leader, educatrici e attiviste portano avanti campagne di sensibilizzazione e programmi comunitari che, passo dopo passo, stanno riducendo le pratiche dannose. In Kenya e in Burkina Faso, progetti guidati da donne hanno già permesso di azzerare le mutilazioni in interi distretti.

E in Europa? Nulla è mai acquisito
Anche nel continente che si considera “culla dei diritti”, la storia recente insegna che nulla è garantito per sempre. Oltre ai limiti sull’aborto, restano aperte questioni di equità economica, rappresentanza politica e autonomia personale. Le donne sono ancora minoranza nei luoghi di potere e spesso penalizzate nel lavoro per il carico familiare. La libertà, insomma, non è un bene statico ma un equilibrio fragile, da difendere ogni giorno. I diritti delle donne, anche quando sembrano consolidati, vivono solo se c’è vigilanza, consapevolezza e partecipazione. Istruirsi, lavorare, scegliere se e quando diventare madri, muoversi liberamente, dire la propria opinione: sono libertà che diamo per scontate, conquiste figlie di secoli di lotte femministe e movimenti civili. Eppure, anche in Europa non sono intoccabili. Il diritto all’aborto, ad esempio, è minacciato in diversi paesi. La Polonia lo consente solo in casi di stupro, incesto o pericolo di vita. A Malta è ammesso solo se la donna rischia di morire. In Ungheria, si impone di ascoltare il battito fetale prima di ogni interruzione. La parità salariale è ancora lontana: le donne europee guadagnano in media il 13% in meno degli uomini. E nonostante le leggi contro la violenza di genere, la Convenzione di Istanbul non è stata ratificata ovunque, mentre in alcuni Stati cresce la pressione dei movimenti che contestano i diritti femminili in nome dei “valori tradizionali”.

Dall’Afghanistan all’Europa, un filo invisibile lega le battaglie delle donne: la ricerca di dignità, libertà e voce. Ogni passo avanti – una legge, una scuola, una protesta pacifica – è parte di un movimento collettivo più grande. Come diceva l’attivista africana Leymah Gbowee, premio Nobel per la Pace: “Quando le donne si uniscono, non c’è conflitto che non possa essere risolto.” E forse, oggi più che mai, vale ricordare che se una donna non è libera, nessuna lo è davvero. Si chiama solidarietà globale. In un mondo in cui le voci femminili faticano ancora a emergere nei contesti di potere, la vittoria del Premio Nobel per la Pace 2025 (tanto ambito da Donald Trump) da parte di María Corina Machado assume un valore che va oltre i confini del Venezuela. È un segnale potente, un riconoscimento non solo alla sua battaglia contro la dittatura di Nicolás Maduro, ma anche al coraggio delle donne che, in ogni angolo del pianeta, continuano a sfidare l’autoritarismo e la violenza politica con la forza della parola e della determinazione. Il premio è andato a una «coraggiosa e impegnata paladina della pace» ha annunciato l'Istituto Nobel norvegese. «Una donna che mantiene accesa la fiamma della democrazia in mezzo a un'oscurità crescente».

Stereotipi e disuguaglianze in Alto Adige
Anche nelle società più sviluppate, gli stereotipi continuano a limitare la libertà delle donne. Un’indagine da poco condotta in Alto Adige e recenti dati ISTAT rivelano come pregiudizi radicati influenzino la vita quotidiana: quasi il 9% degli intervistati ritiene che l’uomo debba prendere le decisioni importanti in famiglia; il 16% pensa che, in caso di crisi occupazionale, gli uomini dovrebbero avere la precedenza nel lavoro; frasi inascoltabili come “solo le donne serie non vengono violentate” sono condivise, pur da minoranze, da una parte della popolazione. Questi stereotipi hanno effetti reali: pesano sulle scelte professionali, sulla divisione dei compiti familiari, sull’autonomia economica e perfino sulla disponibilità a denunciare la violenza. La segregazione nei mestieri – maestre e segretarie da una parte, autisti e cantonieri dall’altra – e il ricorso al part-time quasi esclusivamente femminile restano segni di un equilibrio ancora da costruire. “Prevenzione, formazione e collaborazione interistituzionale sono strumenti chiave” afferma Christine Clignon, presidente dell’associazione GEA – Cooperativa per la solidarietà femminile di Bolzano, che gestisce il Centro Antiviolenza e la Casa delle Donne. "La violenza non è un fenomeno isolato, ma un problema strutturale della nostra società. È fondamentale intervenire alle radici, attraverso l'educazione e la sensibilizzazione. Per uscire da una situazione di violenza è indispensabile una condivisione metodologica e un linguaggio comune per superare i preconcetti che inquinano il giudizio personale e di conseguenza le azioni”. Durante il convegno La rete contro la violenza di genere – situazione attuale e prospettive future dello scorso settembre al NOI TechPark Bolzano, Trixy von Pretz – Presidente degli Alloggi Protetti in Alto Adige, ha messo in luce che: "la violenza psicologica è sempre più agita sui canali digitali, ma un altro nodo critico in Alto Adige è la violenza economica, che mette le donne in una situazione di dipendenza dagli uomini”. Per von Pretz, la risposta è “garantire un lavoro dignitoso.
Il cambiamento culturale è la prima forma di emancipazione”. Perché i diritti non nascono solo dalle leggi, ma da uno sguardo nuovo sulla realtà e sul valore di ogni persona.

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s'Muschi-Ding voll durchziachn #5

// Hannah Lechner //
© Elisabeth Öggl
Stille Nacht
Liebe Lesende, ich hab‘ da noch etwas, das will ich seit #1 des Muschi-Dings loswerden: ein Weihnachts-Best-of vom letzten Jahr. Und wohin würde das besser passen als in die letzte ëres-Ausgabe „für dieses“? Denn, ob ihr es wahrhaben wollt oder nicht: Weihnachten steht wieder an – die Hochsaison der Onkel Kläuse!

Das Szenario ist folgendes: Meine Mutter und ich im Haus der Tante, für insgesamt vielleicht eine halbe Stunde. Auch zugegen: die Tante selbst sowie diverse Verwandte – nähere und fernere – unterschiedlicher Generationen. Ihr werdet staunen (oder leider auch nicht), was man zwischen Lametta und Eierlikör in so kurzer Zeit alles erleben kann – haltet das Bullshit-Bingo bereit!
Da werden Abstammungsverhältnisse geklärt, wobei sich ein entfernter Verwandter erstaunt über die Verbindungslinie zwischen meiner Mutter und mir zeigt – „asooou, i hon gmoant du hosch koane Kinder!“ – und den Ausdruck seines Erstaunens auch direkt mit einer Bewertung der Sinnhaftigkeit des Lebens meiner Mutter versieht: „Nor hosch jo nit umsuscht gleb!“ (Mal eben den Wert eines Frauenlebens an Reproduktion gemessen – check. Darauf ein Schlückchen Eierlikör!) Währenddessen wird am anderen Tischende das Aussehen eines kürzlich wieder mal gesichteten Verwandten kommentiert – „wia sou a Schwuler“ schaue er aus. (Homophobie – check. Und noch ein Schlückchen Eierlikör.) Noch ein paar Stühle weiter gibt ein sehr junger Verwandter die Kunst des Alle-Finger-übereinander-Verknotens zum Besten und hält sein Publikum dazu an, es ihm gleich zu tun. So manche scheitern, ich bin erfolgreich, was ich – auf die Beweglichkeit meiner Fingergelenke anspielend – mit einem lachenden „i bin jo ah nou jung!“ kommentiere. Und da wiederum kann es sich – haltet euch fest – der Frauenleben-Wert-Bewerter nicht nehmen lassen, einen Freud’schen Verhörer vorzutäuschen: „Wos hosch gsogg, du bisch nou Jungfrau?“ (Verbale sexualisierte Übergriffigkeit – check. Wo ist die Flasche??) Meine Tante ist sofort zur Stelle, um lachend zu deeskalieren – an sein Gerede müsse man sich eben gewöhnen, er meine das nicht so! Und damit ist der Übergriff normalisiert, ich exe den Eierlikör. Bingo!