Centaurus

Nicht 50:50

// Jenny Cazzola //
Bisexuelle Menschen werden oft mit Vorurteilen konfrontiert, zum Beispiel, dass sie sich nicht entscheiden könnten. Dabei müssen sie das gar nicht.
Bisexuelle Menschen fühlen sich zu mehr als einem Geschlecht oder Gender hingezogen. Sie erfahren viel Unverständnis, sei es von heterosexuellen Personen, sei es von der LGBTQIA+ Community. Denn sie gelten häufig als feige, unentschlossen und notorisch untreu. Vorurteile, die absolut falsch sind, die es ihnen aber häufig immer noch schwer machen zu ihrer sexuellen Orientierung zu stehen.
Der 23-jährige Fabian ist Gärtner und lebt in Bozen. 2020 hat er damit begonnen, sich als bisexuell zu outen. Sein Coming Out verlief ziemlich entspannt. „Ich habe das große Glück, auch auf der Arbeit nie wegen meiner sexuellen Orientierung diskriminiert worden zu sein. Alle haben sehr gelassen reagiert.“
„Bisexuelle Menschen werden oft alle in einen Topf geworfen“, erzählt Fabian weiter. „Und oft wird Bisexualität mit Pansexualität verwechselt.“ Pansexuelle Menschen fühlen sich zu Menschen hingezogen, ohne dabei auf das Geschlecht, Gender oder Geschlechtsmerkmale zu achten. Viele pansexuelle Menschen identifizieren sich auch als bi und umgekehrt. Fabian ist es aber wichtig zu betonen, dass es bei ihm nicht so ist. „Ich stehe auf Männer und Frauen. Und das schon seit der Mittelschule. Ich habe noch nie verstanden, warum man sich da entscheiden muss. Aber viele erwarten das von einem. Es heißt dann ‚das ist ja nur eine Phase‘ oder ‚du willst das doch nur mal ausprobieren.‘“
Auch Beziehungen einzugehen ist für bisexuelle Menschen nicht leicht. Fabian hat das selbst erlebt. Als er sich geoutet hat, war er noch mit einer Frau zusammen. „Die war sehr skeptisch und hatte Angst, dass ich sie mit einem Mann betrüge. So reagieren leider viele. Sie glauben nicht, dass bisexuelle Menschen treu sein können und echte Gefühle haben. Und immer wieder wird man gefragt ‚Stehst du eher auf Männer oder auf Frauen? Oder ist es 50:50?‘ Dabei ist es nie 50:50. Bei mir ist es eher ein Kuchen, der in acht Stücke zerteilt ist. Fünf der Stücke sind blau und drei Stücke rosa. Aber das macht mich nicht schwul. Ich bleibe bisexuell. Da spielt es auch keine Rolle, ob ich mit einem Mann oder einer Frau zusammen bin.“
Männer, die in einer gleichgeschlechtlichen Beziehung sind, werden in Südtirol noch oft zur Zielscheibe. „Bei Frauen ist das anders“, meint Fabian. „Eine Frau darf ihre Freundin beim Ausgehen auch mal küssen. Dort ist das ok. Männer hingegen trauen sich in der Öffentlichkeit oft nicht mal Händchen zu halten, weil sie Angst haben, angegangen und beleidigt zu werden.“ Das hänge aber auch stark mit dem Umfeld zusammen. „Es ist schon wichtig, wo man wohnt und wie groß der Freundeskreis ist. Bozen ist sicher offener als manche Dörfer.“

Centaurus

Sex Work

// Cristina Pelagatti //
Una scelta non rispettata
Tra pregiudizi, stigma, moralismo, vittimizzazione e mancanza di tutele: le sex workers chiedono il ricono­scimento del loro lavoro
C’è un argomento sul quale l’abituale metodo dialettico italiano della tifoseria pro/contro e della dicotomia tra giusto/sbagliato, va in cortocircuito: il sex working. Il fatto che riguardi una molteplicità di esperienze (dal sex work su strada o in casa a only fans passando per chi vende indumenti intimi usati e chi fa video porno amatoriali) stride con la tendenza a pensare al lavoro sessuale come appannaggio o di vittime di tratta schiavizzate o di escort di alto livello.“In mezzo ai due estremi – spiega la sociologa Giulia Selmi nel libro ‘Sex Work. Il farsi lavoro della sessualità’ – si trova la maggioranza delle sex workers”, persone, per lo più donne cis e trans, che si sono trovate, per scelta, costrizione o circostanza a vendere prestazioni sessuali in cambio di soldi o altri beni. Posto che qualsiasi attività sessuale esercitata senza consenso rientra nel campo della violenza sessuale e non del sex working, ci si deve togliere la lente del moralismo dagli occhiali coi quali si osserva la realtà e si deve cercare di capire che il sex working è un mezzo per alcune donne di autodeterminarsi, una scelta per guadagnare denaro, anche temporaneamente, ricavando profitto da un’attività che in Italia è senza regolamentazione vista la vigente (dal 1958) Legge Merlin, che formalmente non penalizza le sexworkers ma di fatto, punendo lo sfruttamento della prostituzione di cui taccia chiunque abbia a che fare con loro, impedisce di lavorare in modo sicuro. Un riconoscimento del sex work è stato richiesto a gran voce dal primo congresso delle sex workers italiane che si è tenuto a Bologna a giugno e dove è stata salutata con favore la nuova legge belga, prima in Europa a decriminalizzare il sex work e realizzata dopo aver interpellato le sex workers belghe stesse che ora possono pagare le tasse ed avere le tutele dello status di lavoratrici autonome. Il contrario del modello scandinavo che criminalizzando il cliente, fa in modo che le sex workers lavorino sempre più nascoste, non siano protette e non si riescano a localizzare coloro che sono vittime di tratta. In Alto Adige compie 20 anni Alba, il progetto antitratta portato avanti da Volontarius con la Strada – Der Weg e il consorzio sociale Consis che come spiega la referente Gina Quiroz “si occupa di lavorare contro la tratta di esseri umani e lo sfruttamento che non riguarda solo lo sfruttamento sessuale ma anche la schiavitù lavorativa, la servitù domestica, le economie illegali. Con l’unità di contatto, facciamo uscite per monitorare e fare emergere potenziali vittime di sfruttamento sessuale o situazioni di pericolo. In Alto Adige su strada ci sono circa 25 sex workers, le conosciamo da tempo, hanno tutte documenti e non ci sono minorenni. La situazione del sex working indoor è diversa, è più ampia e più difficile da monitorare, tra comunità chiuse, forte pendolarismo e paura di raccontarsi. Non bisogna dimenticare infatti il grande stigma che ammanta il lavoro sessuale.”
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Numero verde contro la tratta
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