Around the World

Cecilia sala e il racconto della sua prigionia a evin

// Lorena Palanga //
Cecilia Sala © Fondazione Circolo dei lettori, CC BY 3.0
La fine del 2024 è stata caratterizzata dalle ore di incertezza e paura per Cecilia Sala, la giornalista italiana arrestata a Teheran il 19 dicembre “per”, così citava il comunicato emesso dal dipartimento generale dei Media Esteri o del ministero della Cultura e dell’orientamento islamico dell’Iran, “aver violato le leggi della Repubblica islamica dell’Iran.” Una motivazione generica e per niente precisa. Poche le notizie trapelate dal carcere di Evin. Sono state settimane di angoscia e soprattutto di un lavoro silenzioso e decisivo che ha portato a inizio gennaio alla sua liberazione, dopo 21 giorni. Il caso della giornalista di Chora Media e del Foglio ha riacceso l’attenzione sulle condizioni dei detenuti in Iran. In una puntata del suo podcast “Stories”, Cecilia Sala ha raccontato cosa significa stare 24 ore al giorno in una cella in isolamento, in silenzio, senza poter far niente e vedere poco o niente, senza contatti, dormendo per terra, senza un materasso, soltanto una coperta sotto e una sopra per ripararsi dal freddo, con la luce sempre accesa. La prigione di Evin è un simbolo del regime iraniano: operativa dal 1972, qui vengono imprigionati oppositori politici, cittadini stranieri e giornalisti dissidenti. Più volte sono state denunciate le violazioni dei diritti umani e gli episodi di tortura e violenza, sia fisica che psicologica. La storia di Cecilia ha riacceso i riflettori su quanto accade lì dentro. Ed ecco perché uno dei primi pensieri della giornalista una volta tornata in Italia è stato per loro “per quelli che alzando lo sguardo non possono ancora vedere il cielo.”

Around the World

Genitalverstümmelung: Gambia bekräftigt sein „Nein“

// Maria Pichler //
Gambia bleibt bei seinem „Nein“ gegen Genitalverstümmelung
Im Sommer 2024 hat das Parlament in Gambia eine Initiative gestoppt, mit der die Genitalverstümmelung (FGM) von Mädchen und Frauen nach einem fast 10-jährigen Verbot weltweit erstmals wieder legalisiert hätte werden sollen. Denn trotz des offiziellen Verbotes war das Gesetz erst ab Mitte 2023 auch durchgesetzt worden: Drei Frauen, die acht Mädchen im Alter zwischen vier und zwölf Monaten beschnitten hatten, wurden mit Geld- bzw. Haftstrafen belangt. Den finanziellen Teil der Strafen übernahm ein Imam, der in der Folge gemeinsam mit anderen religiösen Führern und Parlamentsabgeordneten für die grausame Praxis Stimmung machte, „die nicht durch westliche Einflüsse unterdrückt werden sollte.“ Trotz des bekräftigten „Neins“ bleibt es eine große Herausforderung, das Gesetz in der Praxis durchzusetzen, mit der althergebrachten Tradition zu brechen und tief verwurzelte soziale Normen zu verändern.