Voci letterarie femminili

Quando le storie nate a Bolzano piacciono in tutto il mondo

// Lorena Palanga //
La storia visionaria di Stefania Gander, l’imprenditrice che ha deciso di fare della piccola editoria la sua attività profes­sionale e che ora spedisce libri in Francia, Belgio e Canada
Stefania Gander con il suo libro “Forse Non sono Dio” © privato
Dal minuscolo ufficio di via Righi a Bolzano al resto del mondo. Potrebbe sembrare il titolo di un libro e invece è la storia vera di una piccola casa editrice altoatesina, la Gander Books. Iniziare ad editare libri, nell’era degli eBook e del digitale spinto, era da sempre il sogno “visionario” nel cassetto di Stefania Gander. Lei che ha lavorato per grandi tipografie italiane nel ruolo di direttrice commerciale per l’estero, nel 2021 ha voluto farsi un regalo per il suo 50esimo compleanno: aprire una casa editrice. I pareri? Non sempre positivi, ma Stefania non ha mollato. Un anno di lavoro e nel 2022 la Gander Book è diventata realtà. Il primo libro quello della giornalista locale Martina Capovin e poi via via decine di scritti, in particolar modo di autori altoatesini. La vera svolta è arrivata nell’estate del 2024 con il libro scritto dalla stessa Gander “Forse non sono Dio – Cronache di un gatto”, un racconto unico e divertente dove la narrazione è affidata ad un gatto domestico.
Stefania, in pochi anni è diventata titolare di una casa editrice e scrittrice di un libro apprezzato ormai in diverse parti del mondo e per mesi nella top 100 dei libri più letti su Amazon. È stata una visionaria?
Far diventare l’editoria la mia prima attività professionale è stata una scommessa. Sono partita in punta di piedi. Ho cercato di trovare storie che appassionassero i lettori, raccontate spesso da volti conosciuti a livello locale. Poi ho lavorato cercando di costruire una rete.

I suoi libri si trovano oggi in 150 librerie in tutta Italia. C’è perfino una piccola libreria indipendente a 60 km da Bruxelles che vende il suo libro “Forse non sono Dio”. Come ha fatto?
Gli investimenti pubblicitari soprattutto online sono stati alti. E poi ho sfruttato le grandi potenzialità di Amazon. Non sono d’accordo con chi sostiene che il colosso rappresenta la “morte dell’editoria”. Per i piccoli è una grande opportunità per raggiungere mercati altrimenti impensabili, come nel mio caso Francia, Belgio e Canada. Di recente sono stata contattata da una nota agenzia letteraria di Taiwan, interessata a portare il mio libro in Cina. Ho puntato anche alla rete con altri piccoli editori sparsi in tutta Italia, ho cercato di guardare al Sud. Le piccole realtà imprenditoriali italiane devono imparare a non considerarsi solo come concorrenza, a collaborare poco come parte di un ecosistema su alcune tematiche. Non si può rimanere chiusi nei confini provinciali.
Cos’è secondo Lei oggi visionario nel settore dell’editoria?
Visionario oggi è puntare su libri “popolari”. L’editoria, e la cultura in generale, non possono essere elitarie. Devono portare e riportare le persone a leggere. Una delle recensioni più belle che ho ricevuto al mio libro è proprio quella di una persona che raccontava di non leggere mai, ma che il mio libro l’aveva letto e riletto. Ecco: forse quella persona si appassionerà d’ora in poi alla lettura. L’editoria deve tornare con i piedi per terra.

Il suo libro “Forse non sono Dio” ha raggiunto le 15 mila copie. Cosa piace secondo Lei ai lettori?
Ho studiato questa trama nei minimi particolari, sono riuscita a costruire un ritmo incessante, mi sono ispirata alla comicità di Molière in una commedia fatta di equivoci e di emozioni sul legame che da sempre si è instaurato tra umani e gatti. Ci ho messo tutta me stessa per creare una storia di qualità e i lettori sembrano aver apprezzato.

Sei servita - Das Bild der Frau in der Werbung

DALL·E: „Generiere mir eine Frau auf einem Laufsteg“

// Kathinka Enderle //
Ich gab DALL·E, einer künstlichen Intelligenz (KI), die Aufgabe, ein Bild einer Frau auf dem Laufsteg zu erstellen. Das Ergebnis war das, was ich erwartet hatte – und das, was mich erschreckte.
„Generiere eine Frau auf dem Laufsteg“
Die „Idealform“ der Weiblichkeit?
Die KI-erstellte Frau ist makellos. Ihr Körper, dünn und grazil, wird in einem engen Jumpsuit gezeigt. Das Make-up ist intensiv, die Lippen voll, das Haar glänzt. Es ist ein Bild der Weiblichkeit, das Jahrzehnte lang in Medien gezeigt wird. Und leider ein Bild, welches als Schönheitsideal gilt. DALL·E hatte mir diese „Idealform“ der Weiblichkeit erschaffen: und genau in dieser Perfektion liegt die Gefahr, die sich in den Strukturen unserer Gesellschaft zeigt.

Ein unerreichbarer Maßstab
Psychologisch gesehen ist der Mensch zutiefst empfänglich für visuelle Reize. Menschen vergleichen und messen sich an den Bildern, die ihnen gezeigt werden. Das beeinflusst nicht nur den Blick auf sich und andere, sondern auch, wie das eigene Selbst wahrgenommen wird. Was passiert, wenn dieses Ideal, das ich in Bildform vorgeschlagen bekam, als Maßstab für Frauen genommen wird? Was, wenn Frauen sich mit einer unerreichbar perfekten Version messen?

Kollision zwischen Realität und Ideal
DALL·E hat nichts anderes getan, als die verzerrte Realität zu spiegeln, die ihr von ihren Entwickler*- und Nutzer*innen beigebracht wird. Was geschieht mit denen, deren Körper nicht zu diesem Ideal passen? Werden sie unsichtbar oder sind sie weniger wert? Und was passiert mit der Psyche, wenn man sich mit einem nicht-realen Bild misst?



„Generiere eine Frau auf einem Laufsteg und stelle die Frau mehr als nur ein Objekt der Begierde, sondern als einen komplexen, vielfältigen Menschen dar.“

Aufgabe: Stelle die Frau als mehr als nur ein Objekt der Begierde dar
Die Künstliche Intelligenz zeigt, was ihr beigebracht wurde. Aber ist das wirklich eine wahre Reflexion der Menschlichkeit? Oder ist es nur das verzerrte Bild einer Welt, die von Stereotypen durchzogen ist? Deshalb gab ich als nächstes DALL·E einen neuen Auftrag, eine weitere Frau zu kreieren, diesmal vielfältiger. Auch dieses Ergebnis war schockierend: eine Frau in Unterwäsche, deren Rippen hervorstachen – wiederum eine „perfekte“ Darstellung, die in ihrer sogenannten Perfektion noch weiter von der Realität entfernt ist. Sollen oder vielmehr müssen wir die KI als Herausforderung sehen, unser Verständnis von Schönheit und Norm zu hinterfragen?

Fragen über Fragen
Künstliche Intelligenz hat das Potenzial, unsere Wahrnehmung zu verändern – aber wer bestimmt die Bilder, die wir sehen? Und wer legt die Realität fest, die wir uns selbst dadurch aufzwingen? Was wäre, wenn wir Technologie nutzen könnten, um die Vielfalt der Menschlichkeit zu zeigen, statt sie weiter einzuengen? Können wir lernen, Unvollkommenheit zu akzeptieren und Schönheit in ihrer Vielfalt zu sehen? Welche Möglichkeiten entstehen dann? Was, wenn wir unseren Blick von der Idealform lösen und uns der Realität zuwenden – einer Realität voller Schönheit und Menschlichkeit? Wie schön wäre die Welt dann?