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Il nome è destino?
// Tilia //

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Che lo si voglia o no, i nomi che ci vengono assegnati alla nascita sono biglietti da visita che, spesso e volentieri, possono determinare il nostro destino sociale, ma anche il nostro livello di avvenenza. A dirlo è la scienza? Decisamente no, ma l’ennesimo commento da sottobosco digitale, quello che con nonchalance sentenzia: Hanno assunto una che si chiama Giuseppa. Probabilità che non sia un cesso? 3%.
Eccoci qui, nell’era dei diritti, della body positivity e dell’empowerment femminile, a fare i conti con la più becera delle lotterie genetico-anagrafiche: il nome. Sì, perché se ti chiami Ludovica o Beatrice, ti aspetta un futuro di capelli lucenti e lineamenti aristocratici. L’idea che un nome possa predire la bellezza di una persona è assurda, ma piuttosto radicata. Alcuni nomi come Valentina o Ginevra evocano immediatamente un’immagine ideale, anche solo per il suono e l’associazione che ne deriva. Questo fenomeno è aggravato dai media e dai social, che associano determinati nomi a determinate estetiche. Ma c’è di più. Ricerche hanno dimostrato che il nome può addirittura influire sulle opportunità lavorative. Un curriculum con un nome considerato “elegante” riceve più risposte rispetto a uno con un nome percepito come “popolare” o “etnicamente marcato”. Un nome come Filomena, essendo meno comune tra le nuove generazioni e suonando “antiquato”, può suscitare pregiudizi sull’età e sull’aspetto fisico della candidata.
Perché se un uomo con un nome desueto può più facilmente rifugiarsi nella narrazione del fascino da intellettuale d’altri tempi (avete mai sentito dire “Hanno assunto uno che si chiama Italo. Probabilità che non sia un cesso? 3%? No, vero?), una donna con un nome “sfortunato” è spacciata. Se ti chiami Giuseppe potresti essere immaginato come un tipo serio e autorevole, magari un po’ "tradizionale", nel peggiore dei casi “vecchio stile”, ma... se ti chiami Giuseppa, a quanto pare hai il 97% di probabilità di essere brutta.
Se la tua carta d’identità recita Assunta, Pasqualina o Domenica è meglio che tu abbia un’ironia tagliente e una sana dose di menefreghismo. Perché portare un nome così potrebbe significare affrontare con fierezza ogni sopracciglio alzato, ogni battuta infelice e dimostrare che, dietro un suono antico, può esserci una donna brillante e perfino – udite udite – affascinante.
Perché alla fine, il nome non ci definisce. E se proprio dobbiamo farci un nome, meglio farlo con ciò che siamo, non con ciò che la gente si aspetta. Firmato: Tilia (... ma sarà il mio nome vero o uno pseudonimo?)
Eccoci qui, nell’era dei diritti, della body positivity e dell’empowerment femminile, a fare i conti con la più becera delle lotterie genetico-anagrafiche: il nome. Sì, perché se ti chiami Ludovica o Beatrice, ti aspetta un futuro di capelli lucenti e lineamenti aristocratici. L’idea che un nome possa predire la bellezza di una persona è assurda, ma piuttosto radicata. Alcuni nomi come Valentina o Ginevra evocano immediatamente un’immagine ideale, anche solo per il suono e l’associazione che ne deriva. Questo fenomeno è aggravato dai media e dai social, che associano determinati nomi a determinate estetiche. Ma c’è di più. Ricerche hanno dimostrato che il nome può addirittura influire sulle opportunità lavorative. Un curriculum con un nome considerato “elegante” riceve più risposte rispetto a uno con un nome percepito come “popolare” o “etnicamente marcato”. Un nome come Filomena, essendo meno comune tra le nuove generazioni e suonando “antiquato”, può suscitare pregiudizi sull’età e sull’aspetto fisico della candidata.
Perché se un uomo con un nome desueto può più facilmente rifugiarsi nella narrazione del fascino da intellettuale d’altri tempi (avete mai sentito dire “Hanno assunto uno che si chiama Italo. Probabilità che non sia un cesso? 3%? No, vero?), una donna con un nome “sfortunato” è spacciata. Se ti chiami Giuseppe potresti essere immaginato come un tipo serio e autorevole, magari un po’ "tradizionale", nel peggiore dei casi “vecchio stile”, ma... se ti chiami Giuseppa, a quanto pare hai il 97% di probabilità di essere brutta.
Se la tua carta d’identità recita Assunta, Pasqualina o Domenica è meglio che tu abbia un’ironia tagliente e una sana dose di menefreghismo. Perché portare un nome così potrebbe significare affrontare con fierezza ogni sopracciglio alzato, ogni battuta infelice e dimostrare che, dietro un suono antico, può esserci una donna brillante e perfino – udite udite – affascinante.
Perché alla fine, il nome non ci definisce. E se proprio dobbiamo farci un nome, meglio farlo con ciò che siamo, non con ciò che la gente si aspetta. Firmato: Tilia (... ma sarà il mio nome vero o uno pseudonimo?)