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Imperfetta Project

// Sarah Trevisiol //
L’agenzia di moda che rappresenta donne autentiche e libere
ANDRA BIANCA RADULESCU – “L’incidente che mi ha portata a perdere parte della mia gamba sinistra ha stravolto la mia vita. Dopo anni vissuti nel pregiudizio, nella paura e nella vergogna, oggi considero la protesi la mia migliore amica, il mio punto di forza, ciò che mi rende imperfettamente perfetta e straordinariamente diversa.”
Quante persone e in particolare quante donne si fanno ancora condizionare da stereotipi di bellezza limitanti e per di più irraggiungibili? Quante subiscono ancora discriminazione e odio ingiustificato a causa delle proprie caratteristiche fisiche considerate “imperfette” o “poco idonee”?
Imperfetta Project è la prima agenzia di moda inclusiva italiana che si pone l’obiettivo di abbattere pregiudizi e di rovesciare schemi di bellezza, imposti dai media e dalla moda, proponendo delle “muse imperfette” che sanno trasformare i propri difetti in dei veri e propri punti di forza. Sono donne che hanno qualcosa da dire, donne con delle passioni, donne autentiche, talentuose, schiette, intelligenti, ostinate, donne con tatuaggi, piercing, curve, cellulite, smagliature, vitiligine, protesi, disabilità, teste rasate o volti insoliti. Non donne imperfette, non donne con difetti: ma donne che sanno valorizzarsi e vogliono trasmettere messaggi positivi, affinché le donne imparino nuovamente a piacersi così come sono. Carlotta Giancane, la fondatrice del progetto, ama sottolineare che “imperfezione vuol dire unicità e bellezza autentica. Sosteniamo un’idea di bellezza imperfetta perché è nelle imperfezioni che vince la personalità. Sperando che le nuove generazioni di donne non debbano aspirare ad una bellezza idilliaca per sentirsi adeguate, che possano sbocciare senza sprofondare nelle insicurezze, che possano provare a piacersi e apprezzarsi per quello che sono realmente e per quello che sanno fare.”.
Imperfetta è una comunità tutta al femminile, con cinque professioniste della comunicazione tutte sotto i 40 anni, e più di cento muse tra i 16 e i 70 anni. Il progetto ha coinvolto velocemente tantissime protagoniste, che hanno accettato di raccontare la loro storia, trasmettendo pubblicamente messaggi di body positive, che invitano all’accettazione e all’inclusione sociale. Chi volesse può unirsi alla comunità di muse, inviando la propria storia a imperfettaproject@gmail.com, tentando di ispirare anche altre donne e ragazze a sentirsi belle nella propria pelle. “Non poniamo limiti di misure, altezza, età o peso, non vogliamo che cambino nulla del proprio aspetto. Non chiediamo di pagare niente, né di fare book fotografici. Non siamo alla ricerca di modelle, ma di persone che vogliano mettersi in gioco, raccontando casi che possano ispirare le donne e non solo”.
Il progetto si muove su due piattaforme: La pagina Instagram, che viene utilizzata principalmente per “ispirare” attraverso la condivisione delle storie di vita delle protagoniste; e il sito ufficiale, che si rivolge alle aziende con l’obiettivo di attivare delle collaborazioni che permettano alle muse di far fruttare il proprio talento, presentandosi con la loro personalità, più che come manichini perfetti. Alcune delle muse hanno fatto già strada sulle passerelle di alta moda o all'interno di riviste femminili, spaccando i canoni consueti e portando messaggi positivi e inclusivi. Di recente hanno aderito all’iniziativa persino personalità note come l'attrice Stella Pecollo (autrice del libro “Io sono bella – La leggerezza non è questione di peso”) e l’atleta paraolimpica Francesca Cipelli, che ha avuto un trauma cranico all’età di dieci anni. “Amo lo sport perché punta alle potenzialità invece che ai limiti di ognuno. Sono un vulcano e vorrei mi aiutaste a raccontare a tutti che i limiti sono solo nella mente di chi se li pone.”
Imperfetta Project vuole essere un elogio alla bellezza femminile, che insegna alle donne e ragazze, di oggi e domani, ad essere coraggiose, piuttosto che perfette.
ALICE MANERA – “L’acne è la mia amica del cuore, sempre presente, che vuole farsi notare anche quando io vorrei tanto nasconderla, ma che ha saputo farmi crescere e insegnarmi a vedere il mondo in modo diverso, ad andare oltre le apparenze e soprattutto a volermi bene ed apprezzarmi così come sono.”
FRANCESCA BRUNI ERCOLE – “Per anni ho visto le mie smagliature come un ostacolo da superare a tutti i costi. Mi facevano sentire inadatta e diversa dagli altri. Ora che ci convivo da tempo non riesco a liberarmene, ci sono troppo affezionata perché raccontano di me. Sono piccole fessure incomprese in corpi non capiti.”
ROSSELLA FIORANI – “Da quando sono nata porto i segni di una patologia rara che mi ha privata di alcune falangi delle mani e dei piedi. Ho avuto un’infanzia difficile segnata da bullismo e discriminazioni che mi spinsero a nascondermi dietro a delle protesi, ma oggi è senza di esse che mi sento davvero perfetta.”
CARLOTTA BERTOTTI – “Ho passato una vita a truccarmi prima di uscire di casa. Mi sono abituata all’idea che si debba indossare una maschera per essere normale. Essere diversi fa paura, così come fa paura il giudizio degli altri. Oggi, però, mi chiedo chi siano questi altri e perché mai avrebbero il diritto di giudicarmi.”
CHIARA PENNETTA – “Ho passato la vita a non sembrare sorda, perché spesso i miei apparecchi acustici non si notano e il mio modo di parlare non lascia intuire nulla. Pensandoci, mi sembra di essere cresciuta con la sensazione di essere una udente incompleta, o una sorda che tentava di assomigliare agli udenti.”
SUSANNA CENATI – “Sono nata con una focomelia all’avambraccio sinistro che dunque semplicemente non ho! Sono solare, testarda e determinata. Ogni cosa per me è una sfida, non rinuncio mai a nulla, non mi pongo limiti e soprattutto non permetto agli altri di pormeli.”
ELENA TRAVAINI – “Il mio sogno è quello di vivere in una società più inclusiva nella quale il messaggio positivo che deve passare è quello che ognuno di noi debba imparare ad amare se stesso e le proprie particolarità senza essere giudicato per il proprio aspetto fisico.”
FEDERICA CASCIANA – “La mia tetraparesi spastica mi ha permesso di riuscire a vedere l’astratto nelle cose e nelle persone. Ho un buon rapporto con il mio corpo perché credo che esso sia solo la parte superficiale di una persona e perché non mi è mai importato del giudizio degli altri.”
ORNELLA SPATA – “Avevo 5 anni quando ho iniziato a soffrire di alopecia. Negli anni ho subito bullismo, ho visto genitori allontanare i loro figli da me, ho visto i miei piangere e soffrire tanto quanto me. Crescendo ho capito che sono solo capelli e che per andare avanti bisogna reagire. Sempre e positivamente.”
FATIMA MENNELLA – “La Sindrome di Down mi ha sempre resa diversa agli occhi degli altri e a volte mi ha fatto sentire inadatta. Grazie all’amore della mia famiglia ho imparato ad amarmi ed accettarmi per quella che sono. Non ho limiti se non quelli che le persone mi attribuiscono senza conoscermi.”
LISA STEIN – “Ho migliaia di scatti che mi ritraggono. Ogni scatto è un momento in cui mi sono sentita nuda davanti alla società che mi giudica. Vorrei poter dire a tutti, un giorno, di aver superato ogni discriminazione di genere e poter urlare al mondo che le differenze sono bellezza.”
LUCIA DELLA RATTA – “Sono una ragazza albina e ipovedente. La mia diversità mi rende unica e meravigliosamente imperfetta.”

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Young – „Du und deine Elefantenbeine“

// Kathinka Enderle//
Der Sommer ist zum Greifen nahe. Während sich viele darüber freuen, werden andere geplagt von Unsicherheiten, Schmerzen und Scham. Wie lebt es sich in einem Körper, der einem physisch und psychisch wehtut? Diese Frage beantwortet Mia* und gibt damit intime Einblicke in ihr Leben mit der Erkrankung Lipödem.
© Melanie Grabowski
„Die Erkrankung lässt mich fühlen wie ein Zentaur – oben schlank, unten dick“
Als Mia 17 Jahre alt war, wurde bei ihr „Lipödem“ diagnostiziert. Nun denkt sie mit 19 über eine Operation nach. „Das Lipödem ist eine Fettverteilungsstörung mit krankhaft vergrößerten Fettzellen. Meist tritt sie an den Extremitäten auf, bei vielen sind es die „Reiterhosen“ an den Oberschenkeln und Hüften. Der Körper ist dabei sehr unproportional. Fast schon so, als ob man zwei verschiedene Körperhälften aufeinandersetzt. Ich selbst fühle mich wie ein Zentaur – oben schlank, unten dick“, lacht sie.
„Mehrere Frauen aus meiner Familie leiden unter dieser Krankheit. Als die ersten Symptome im Mittelschulalter auftraten, hatten wir bereits die Vermutung, dass auch mir das Lipödem vererbt wurde. Angefangen hat es mit einer Gewichtszunahme. Egal wie viel Sport ich gemacht habe, ich habe mehr und mehr Gewicht an den Beinen angelagert. Wenn ich spazieren ging, traten plötzlich Schmerzen auf. Das war nur bei Belastung so. Meine Beine schwollen an und ich verspürte dort einen unsagbaren Druck. Alles spannte, zog und tat weh. Als ich dann zum Arzt ging, war die Diagnose bald gestellt - Lipödem im 2. Stadium.“
Das verweigerte Anrecht auf Beschwerdefreiheit
„Es gibt verschiedene Therapiemethoden. Einerseits die Lymphdrainage sowie Kompressionsstrümpfe, andererseits ist es wichtig, die Ernährung im Blick zu behalten, damit sich die Erkrankung nicht verschlimmert. Ich habe alles probiert. Trotzdem ist die einzige Möglichkeit, das Gewicht längerfristig zu verringern, eine Operation. Dabei wird krankhaftes Fett abgesaugt. Mein Arzt hat mir erklärt, dass es bei den meisten Patient*innen mehrere Operationen braucht. Selbst dann ist keine Heilung garantiert, da die Krankheit immer wieder zurückkehren kann. Bei mir bräuchte es in den Beinen zwei bis drei Operationen. Obwohl die Erkrankung anerkannt ist und es genügend Patient*innen gibt, die im Laufe des Lebens dadurch im Rollstuhl landen, übernimmt die Krankenkasse keine Kosten für die Operation. Eine Operation, die allein schon aufgrund der Schmerzen dringend nötig wäre, kostet zum Teil über 10.000 Euro, das ist so viel wie ein Kleinwagen. Nicht jeder hat das Geld aus eigener Tasche, weder mit 19 Jahren noch mit 40. Diäten helfen, entgegen der gesellschaftlichen Meinung, nichts, da sich das Fettgewebe des Körpers aufgrund einer Störung vermehrt und nicht, weil man zu viel Süßes oder Fettiges isst. Natürlich verspricht auch eine Operation keine absolute Heilung, aber wenigstens eine Linderung der Beschwerden und es hätte doch jeder Mensch ein Anrecht darauf, wenigstens eine Zeit lang schmerzfrei zu sein, oder?“
Intimer Blick in den Körper und die Seele
Kaum beginnt Mia über ihr Befinden zu sprechen, merkt man ihr sichtlich an, wie sehr sie die Erkrankung mitnimmt.
„Mir geht es weder körperlich noch seelisch gut damit. Ich habe das Gefühl, in einem Körper gefangen zu sein, der nicht zu mir passt. Eigentlich wäre ich ein sportlicher Mensch, Sport hat mir immer Spaß gemacht. Jetzt werde ich von zu vielen Kilos aufgehalten. Mein Gesicht finde ich hübsch, aber durch den Zwiespalt mit meinem Körper schaffe ich es nicht, mich selbstbewusst zu fühlen. Vor allem im Sommer kämpfe ich oft mit Scham. Das Lido, Seen oder das Meer meide ich in der Hoffnung, die fiesen Blicke oder dummen Kommentare ebenso zu umgehen. So sieht mich niemand im Bikini. Auch kurze Shorts oder Kleider möchte ich nicht mehr tragen, da ich mich zu dick fühle. Es ist belastend, vor allem in der Hitze. Selbst Nacktheit ist nichts, was ich genieße. Das macht mich traurig. Ich denke an das kleine, glückliche Mädchen, das ich früher war und wie ich diesem nicht mehr gerecht werden kann, da ich in einem Körper stecke, der mir wehtut.“ Die ersten Tränen fallen.
Akzeptanz – Mias größte Aufgabe
„Die Auswirkungen des Lipödems sind für mein Selbstbewusstsein nicht gut. Ich habe vor meiner Diagnose und den Gesprächen mit meiner Familie Diät nach Diät versucht sowie exzessiv Sport betrieben. Alles in der Hoffnung, die Krankheit loszuwerden, natürlich ohne Erfolg. Nun gehört sie eben zu mir. Mich selbst zu akzeptieren ist vermutlich trotzdem die größte Aufgabe, der ich mich in meinem Leben stellen werde. Der Weg bis dahin ist sehr lange und sicher nicht ohne Steine. Aber es ist wichtig, Dinge zu tun, durch die man sich gut fühlt, das habe ich gelernt. Ich mache gerne Yoga, tanze durch die Wohnung, probiere gesunde Rezepte aus oder verbringe gerne Zeit in den Bergen und Wäldern, das macht mir Spaß.“
„Du fettes Schwein“ – der Kontakt mit der Gesellschaft
„Ich glaube ein großer Faktor, warum mir diese Akzeptanz nicht so leichtfällt, ist die Sozialisierung in der Gesellschaft. Meine Familie hat versucht mir beizubringen, mich selbst zu lieben, aber das ist schwer, wenn sich ein Großteil der Gesellschaft gegen mehrgewichtige Menschen stellt. Einer der schlimmsten Kommentare, die man mir an den Kopf warf, war, dass ich ein fettes Schwein wäre. Das macht viel mit einem selbst, es verletzt. Auch Schönheitsideale helfen nicht. In Zeitschriften und im TV werden meist dünne Frauen abgebildet. Klamotten richten sich auch eher danach. Schöne Klamotten habe ich für größere Größen selten gefunden.“
Das Lipödem und die Liebe
„Männer wollen mich oft als Person nicht kennenlernen, weil vielfach nur das Äußere, also meine Kilos, gesehen werden. Dasselbe habe ich von vielen Lipödem-Mädels gehört und es ist schade. Jetzt sind nur noch solche Leute in meinem Leben, die mir guttun und mich so mögen wie ich bin, egal ob mehrgewichtig oder nicht. Das ist mein Deal mit mir selbst,“ sagt sie fast schon stolz und findet dabei ihr Lächeln wieder.
„Seelen sehen, statt nur die äußere Hülle“
„Das Schönste wäre, wenn Menschen einfach einen netteren Umgang miteinander finden und mit den Körpern anderer Menschen sensibler umgehen würden. Kommentare über das Äußere sollten aufhören, sie können verletzen. Ich glaube, die Welt wäre schöner, wenn unsere Augen Seelen sehen würden, statt nur die äußere Hülle. Ich wünschte mir, dass jeder Mensch eine Chance kriegen würde, unabhängig davon, wie man aussieht. Ich bin nicht nur mein Gewicht und auch nicht nur meine Krankheit.“