Quanto conta il ruolo della comunicazione per arrivare a una democrazia paritaria?
La comunicazione, e in particolare la comunicazione pubblica, ha una forte responsabilità nel rappresentare correttamente, in modo veritiero e imparziale, la realtà, nell’informare e formare la coscienza degli individui, dunque nel realizzare pienamente la democrazia, cioè la possibilità per le persone di fare scelte consapevoli sulla base della conoscenza. Affinché questa democrazia sia paritaria, anche la rappresentazione della realtà deve esserlo, includendo uomini e donne in egual misura, così come in egual misura compongono la società, e dando pari dignità, valore e diritto di espressione a entrambi i generi. La rappresentazione paritaria – a partire dalle tribune di comunicazione, panel, seminari, convegni, talk show - è la premessa culturale di una pari rappresentanza politica e sociale.
Qual è la leva su cui lavorare da subito per eliminare il gender gap?
A mio avviso, oltre alla leva economica e del welfare – maggiori servizi, inclusione lavorativa, parità salariale e nelle opportunità di carriera – è fondamentale la leva culturale, che passa attraverso la condivisione e l’interscambiabilità dei ruoli fra uomini e donne, a livello familiare e professionale. Per questo è importante che anche le donne – scienziate, esperte, manager, artiste, scrittrici - si affermino nella rappresentazione pubblica, per essere modello e ispirazione per altre giovani donne, rafforzando il loro ruolo anche in campi storicamente “maschili”.
Qual è oggi la più grande differenza tra uomini e donne?
Una differenza culturale, determinata da secoli di pregiudizi, stereotipi, sessismo, segregazione, sottomissione e patriarcato.
Che significato ha per te la parola “femminismo”?
Ha un nuovo significato, non più solo il movimento delle donne per l’affermazione dei propri diritti e delle pari opportunità, ma un collettivo in cui gli uomini sono accanto alle donne per rivendicare la parità nella differenza.
Hai mai subito trattamenti discriminatori in quanto donna?
Sì, in particolare dopo la maternità, purtroppo un’esperienza comune a molte. Ma anche atteggiamenti sessisti da parte di colleghi maschi. Credo che per affrontare (e sperabilmente abbattere) le discriminazioni occorra in primo luogo avere consapevolezza dei propri diritti, del proprio sé: un percorso esistenziale lungo e tortuoso. Forse oggi le giovani donne sono più consapevoli, anche come eredità di chi ha tracciato la strada prima di loro.
C’è una donna che ammiri particolarmente?
Angela Merkel, una grande statista che ha trasformato la Germania riunificata e segnato la storia dell’intera Unione Europea. Purtroppo, oggi non vedo altre donne leader della sua statura politica.
Quale messaggio daresti alle giovani che intendono intraprendere la carriera giornalistica?
Il giornalismo non è una carriera, è un modo per cercare la verità e raccontarla agli altri, in maniera comprensibile. Non credo alle scuole di giornalismo, per essere (non fare) il/la giornalista occorre studiare molto la storia, leggere, ritagliare articoli e farsi un archivio personale, approfondire, farsi domande, cercare dati e numeri, basarsi sui fatti e sulle evidenze scientifiche, indagare la realtà, trovarsi un/a tutor giornalista cui “rubare” il mestiere.
E rivolgendomi alle giovani donne, consiglio di non rinunciare mai – nel rispetto della verità – al proprio punto di vista, alla propria sensibilità; di non omologarsi; di essere fedeli a quel principio di “pari opportunità” e pluralismo che significa dar voce a tutti e tutte, evitando stereotipi, luoghi comuni, pregiudizi spesso inconsapevoli e “automatici” quando si racconta un fatto o si descrive qualcuno/a. La democrazia paritaria scaturisce anche da una buona informazione.